Ilaria vuole tagliare (se non ora quando?)

La direttrice di Artissima: con meno stand avremmo più qualità

Ilaria Bonacossa ad Artissima 2017. Foto: Perottino – Alfero – Bottallo - Formica
Franco Fanelli |  | Torino

La direttrice di Artissima: «Con meno stand avremmo più qualità». Decisivi il nuovo contratto d’affitto e la coesistenza sostenibile con le altre fiere.

Ilaria Bonacossa, che cosa ha funzionato e che cosa no nella sua prima edizione di Artissima?
La fiera ha funzionato bene anche per le vendite: questa, sentiti molti galleristi, è la mia impressione. Certo, alcuni di loro hanno lamentato il fatto che i collezionisti torinesi abbiano comprato meno, ma sappiamo che il tessuto di ricchezza della città non è lo stesso rispetto a quindici anni fa. Abbiamo un patrimonio di collezionisti, ma per me, direttrice, è stato molto difficile metterli direttamente in contatto con tutti i galleristi. Ovviamente fare da tramite è un aspetto molto importante e su questo fronte credo si possa migliorare. Secondo me se la fiera avesse trenta-quaranta gallerie in meno tutto sarebbe più gestibile: per ogni galleria le probabilità di conoscere un collezionista salirebbero.

La cura dimagrante è fattibile?
È determinante ridurre l’affitto per la sede. Questo ci consentirebbe di far fronte alle spese anche invitando meno gallerie. Spero che anche le istituzioni che possiedono il marchio di Artissima (Regione Piemonte, Provincia di Torino e Città di Torino; su incarico dei tre enti, è promossa dalla Fondazione Torino Musei, Ndr) si facciano carico di questo problema, negoziando.

Intorno ad Artissima continuano a fiorire fiere. Come gestite la convivenza?
In città c’è spazio per diversi progetti; dico solo che deve essere attuata una vera sinergia. La mia impressione è che il collezionista che viene invitato da Flashback va a Flashback e non ad Artissima, e viceversa. Magari visita un museo e poco più, poiché la permanenza media di una persona a Torino è di due giorni. Gli ospiti extracontinentali di Artissima stanno anche quattro giorni, però sono quelli che magari vogliono scoprire anche la città. Ma l’ospite standard di una fiera non riesce ad approfittare di tutti gli eventi che si svolgono in contemporanea. Ora, io mi chiedo (e ovviamente la mia è una provocazione): se Artissima cambiasse a sorpresa le date in corso d’opera, che cosa succede? So benissimo che tutti aspettano le date di Artissima per pianificare la loro fiera. Visto che Artissima è un volano per tutta la città, Artissima deve essere sostenuta, in quanto è la fiera pubblica che ha anche una funzione di sostenere l’immagine di Torino.

Si parla di riunire tutte le fiere al Lingotto. È una buona idea?
Se noi scendessimo come numero di gallerie, automaticamente queste andrebbero nelle altre fiere e sarebbe più facile avere altre fiere contigue, a patto che non facciano la parte dell’anti Artissima. Per coesistere dovrebbero avere identità diverse, cosa che è riuscita ai musei e alle fondazioni di Torino che sembravano in competizione tra loro. Io dico che la Città e la Regione devono lavorare per non indebolire la fiera trainante; e per tenere alta la qualità della fiera ci deve essere un «sistema città» che sostiene il progetto. Se si scatena il tutti contro tutti si rischia al contrario di indebolire tutto. Io sono positiva e voglio sedermi a un tavolo con chi possiede il marchio Artissima e far capire che è nel loro interesse più che nel mio proteggerlo. Questa è una partita che i proprietari del marchio dovranno giocare a lungo termine e tra i temi ci sono la sede e il contratto di locazione.

Qualche gallerista italiano si è lamentato per l’eccessiva presenza di colleghi stranieri...
Artissima non vuole essere la fiera italiana, ma una rilevante fiera internazionale di media grandezza. Se noi vogliamo che i collezionisti stranieri continuino a venire deve esserci questa forte presenza di internazionalità. Ricordiamoci quello che è successo in Francia, dove per proteggere l’arte nazionale il Governo ha obbligato per anni tutti i Frac (Fonds Régionaux d’Art Contemporain) a comprare solo artisti francesi. A un certo punto si sono accorti di avere ucciso l’arte francese. Si sono salvati soltanto gli artisti che si sono sottratti a quel programma. Il protezionismo culturale non funziona molto.

Come commenta la polemica tra lei e Gian Enzo Sperone scoppiata durante Artissima?
Io credo che in questo momento lui abbia per le mani arte di un certo tipo e che quindi spari contro l’arte contemporanea perché lui fa un altro mestiere. Il suo attacco, però, è partito prima dell’apertura di Artissima: è stato allora che ha detto che di tutta l’arte contemporanea rimarrà il 10%. Da allora la polemica è salita; tutti hanno cominciato a chiedermi perché Sperone non esponesse ad Artissima. La sua non adesione, a dire la verità, non mi aveva sorpresa perché lui non aveva partecipato neanche lo scorso anno. Anche quando gli ho parlato del mio progetto legato a una sezione che, trent’anni dopo, ricordasse con opere attuali il suo «Deposito d’arte presente» non gli ho mai chiesto di partecipare, proprio perché lui in questo momento lavora sul recupero di uno specifico gruppo di artisti che sarebbe lontano dalla linea di Artissima. È giusto che lui scommetta su quello, come è giusto che ci siano dei galleristi di 28-30 anni che scommettono su ragazzi che fanno video con la realtà virtuale ecc. Sicuramente oggi, rispetto a trent’anni fa, il consumo è più veloce e probabilmente nascono più artisti. Una volta per essere riconosciuto un artista impiegava dieci anni; adesso magari si accorgono di te in tre contemporaneamente e quindi rischi di essere consumato in cinque anni. Ma non è che l’arte sia diversa dalla musica o dalla letteratura. Viviamo in una cultura che attraverso i mezzi di comunicazione riesce a creare figure di spicco in poco tempo e come le crea le consuma. Però chi ha il talento riesce anche a uscire dal riflettore e poi tornarci. Ogni tanto penso a quando nessuno si filava Gerhard Richter.

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