L’Egizio e la sindrome di Stendhal

Daniele Manacorda |

La recente campagna elettorale ha mostrato una volta di più quanto pesi il passato nella vita contemporanea, spugna dei nostri desideri, delle nostre frustrazioni, dei nostri sogni e rancori.

La vicenda che ha coinvolto il Museo Egizio di Torino, strumentalmente accusato di razzismo all’incontrario, cioè di penalizzare gli italiani in favore di chi parla la lingua sbagliata (l’arabo dei «musulmani terroristi»), lo dimostra in termini grotteschi. Naturalmente, tutto sta a capirsi, se si ha voglia di dialogare. Se qualcuno mi fosse venuto a raccontare che il prestigioso museo aveva deciso dalla sera alla mattina di aprire gratuitamente le proprie sale a qualcuno perché arabofono e non a qualcun altro, mi sarebbero venute le paturnie e (Costituzione alla mano!) avrei gridato in nome di chi parla le lingue di Dante, di Shakespeare, di Tolstoj e di Firdousi. Ma che le cose non stessero così era facile
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