Ariosto con gli occhi chiusi

Massimiliano Rossi |

Nell’estate del 2006 mi ritrovai, un po’ per caso, nel Museo bizantino e cristiano di Atene dov’era allestita una bizzarra esposizione dedicata alle relazioni tra l’Impero d’Oriente e quello cinese, nell’età d’oro della dinastia Tang (VII-X secolo). Nel primo dei pannelli esplicativi si ricordava al visitatore la forte discrasia tra le sorti delle due potenze, l’una all’apogeo, l’altra entrata in una delle sue numerose «dark ages». Qual era dunque il senso dell’iniziativa espositiva in quella sede particolare? Nessuno, naturalmente. Di fronte a un’operazione come «Orlando Furioso 500 anni. Cosa vedeva Ariosto quando chiudeva gli occhi», mi è tornata in mente la mostra ateniese. Nel catalogo (Fondazione Ferrara Arte) i curatori Guido Beltramini e Adolfo Tura non nascondono certo l’«azzardo» tentato e dunque invocano una «filologia dell’immaginazione che non rischia di
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