Image

Verifica le date inserite: la data di inizio deve precedere quella di fine

Image

Frida Kahlo, «El sueño (La cama)», 1940, battuto da Sotheby’s il 20 novembre a 54,6 milioni di dollari

Courtesy of Sotheby’s

Image

Frida Kahlo, «El sueño (La cama)», 1940, battuto da Sotheby’s il 20 novembre a 54,6 milioni di dollari

Courtesy of Sotheby’s

A New York si riparte: vendite oltre i 2 miliardi di dollari

Insieme a Klimt, le aste di Sotheby’s e Christie’s premiano i maestri con prezzi blindati e garantiti. Exploit per Van Gogh e Frida Kahlo, ora la più cara tra le donne. Il contemporaneo fattura solo il 15% del totale con il wc di Cattelan che fa venire il mal di pancia

Alberto Fiz

Giornalista Leggi i suoi articoli

«Grazie zio». Sono in molti ad averlo evocato sapendo che a lui spettava l’arduo compito di rilanciare un mercato che da tempo non scaldava più i cuori. Il parente in questione è Gustav Klimt, soprannominato zio da Elisabeth, la figlia di August e Serena Lederer, tra i più importanti sostenitori del celebre maestro, nonché la famiglia più ricca di Vienna subito dopo il ramo austriaco dei Rothschild. Era dunque doveroso che Klimt si cimentasse nel ritratto della bella figliola creando uno dei suoi capolavori con la figura intera (sono solo due i casi nella sua pittura) che troneggia vestita con un superbo abito imperiale cinese circondato da miniature orientali che fanno da sfondo in una scenografia avvolgente.

Ebbene, è stato proprio il «Ritratto di Elisabeth Lederer», realizzato tra il 1914 e il 1916, a battere ogni record con i suoi 236,3 milioni di dollari, la cifra più alta mai pagata per un’opera d’arte, seconda sola al contestatissimo «Salvator Mundi» di Leonardo o presunto tale, che il 15 novembre 2017 era stato aggiudicato da Christie’s a New York per 450 milioni di dollari. Il 20 novembre di otto anni dopo, Sotheby’s non poteva inaugurare meglio il suo quartier generale newyorkese al Breuer Building su Madison Avenue, sede storica del Whitney Museum, dove il dipinto simbolo della riscossa ha superato di ben 100 milioni di dollari le previsioni iniziali, in una competizione appassionante tra plurimiliardari durata 20 minuti con solo due affacciati sull’ultimo tratto lungo 50 milioni di dollari.

E, stando ai rumor, sembra che il Klimt abbia preso la strada dell’Oriente. L’opera proveniva dalla collezione di Leonard Lauder, il proprietario di Estée Lauder, scomparso in giugno all’età di 92 anni, che nel suo complesso, con solo 24 opere (di cui altri due Klimt), tutte vendute, ha totalizzato 527,5 milioni di dollari di cui il 45% è stato ottenuto dal ritratto dell’artista viennese.

I Lauder pagati in anticipo

Che tutto si giocasse intorno a quel dipinto, Sotheby’s l’ha saputo sin da subito tanto che già a inizio ottobre lanciava la notizia certa di assicurarsi il bottino, nonostante il minimo garantito assicurato agli eredi prima dell’asta, con un investimento finanziario tra i più impegnativi della sua storia. Ma ne è valsa la pena, tenendo conto che Lauder ha realizzato da solo la metà del fatturato complessivo raggiunto dalla major nella settimana delle aste newyorkesi, pari a 1,17 miliardi di dollari, naturalmente il più alto dal 2021. Una cifra elevata ma globalmente meno soddisfacente di quanto ci si potesse immaginare, tenendo conto che Christie’s, sia pure con un numero maggiore di lotti, senza grandi proclami, ha incassato nelle stesse giornate, 964 milioni di dollari

In totale, il mercato delle due superpotenze ha superato 2,1 miliardi di dollari. Certo, una boccata d’ossigeno per il settore, che ha ritrovato i record di un tempo riuscendo a portarsi a casa le grandi collezioni, le sole che fanno saltare il banco e scatenano l’euforia. 

Sebbene il mercato attualmente possa contare su prezzi ribassati, su uno scenario geopolitico migliore di sei mesi fa, sulla discesa dei tassi d’interesse e sugli utili provenienti dalla Borsa che sembra aver dato il massimo, la spallata delle major è avvenuta seguendo una serie di parametri che invitano alla prudenza. In primo luogo, quasi tutte le opere sono oramai garantite dalla casa d’aste o da terze parti con vendite irrevocabili, a dimostrazione che gli eredi dei grandi collezionisti sono disposti a scendere in campo con la sicurezza matematica che i gioielli di famiglia non rimangano invenduti. Secondariamente, le aste newyorkesi si sono concentrate quasi esclusivamente su opere storiche, basandosi sui valori consolidati dell’arte moderna e su dipinti mai apparsi in precedenza sul mercato o proposti almeno vent’anni fa. 

Il contemporaneo ha giocato un ruolo marginale anche per gli artisti americani (i tanti Lichtenstein solo in rari casi hanno superato le stime), a dimostrazione che la flessione dei prezzi consumata negli ultimi due anni ha imposto uno stop. Sono mancati persino i big come Francis Bacon e Gerhard Richter in un comparto che è rimasto in silenzio. Basti pensare che le due vendite dedicate al XXI secolo hanno ottenuto complessivamente 304 milioni di dollari, poco meno del 15% del totale. Percentuale che sarebbe ancora più contenuta se il 18 novembre da Sotheby’s a New York «Crowns (Peso Neto)», un grande dipinto di Jean-Michel Basquiat (193x293 cm) con una serie di teschi incoronati, non avesse fatto fermare il martello del banditore a 48,3 milioni di dollari. Nella stessa occasione, sono comparse anche una grande scultura di spugna di Yves Klein, aggiudicata per 19 milioni di dollari e «High Society», l’opera di Cecily Brown che mescola stili di ogni epoca creando un cocktail superenergetico, pagata l’incredibile cifra di 9,8 milioni di dollari, dieci volte di più rispetto a vent’anni fa (in un mercato sregolato tuttavia 24 ore dopo da Christie’s un altro dipinto di Brown è tornato al proprietario iniziale con una valutazione di 4-6 milioni di dollari). 

René Magritte, «Le Jockey perdu», 1942, ceduto da Sotheby’s il 20 novembre a 12,3 milioni di dollari. Courtesy of Sotheby’s

Andy Warhol, «The Last Supper», 1986, aggiudicato da Christie’s il 19 novembre a 8,1 milioni di dollari. Courtesy of Christie’s

Il wc di Cattelan al prezzo dell’oro

Ma nella vendita di Sotheby’s l’opera di gran lunga più attesa era «America», il wc di Maurizio Cattelan che è stato acquistato da un non meglio identificato brand americano per una cifra equivalente a 12,1 milioni di dollari (era la sola che si poteva pagare in criptovalute), diritti compresi, esattamente come il prezzo dell’oro, non proprio quello che sognava il proprietario, Steve Cohen, tra i maggiori gestori americani di fondi.

Nonostante il furto di un altro water d’oro (in totale ne esistono cinque dal momento che all’edizione di tre si aggiungono due prove d’artista) al Blenheim Palace, prima residenza di Winston Churchill, di cui, com’è avvenuto per i gioielli del Louvre, sono stati catturati i ladri ma non è stato recuperato il bottino, l’esposizione al Guggenheim di New York con relativa coda di astanti per provare l’oggetto del desiderio, una valanga di stampa e una copertura social senza precedenti, il risultato per l’opera genuinamente interattiva che sembra fare il verso all’inno del corpo sciolto di Roberto Benigni non è stato certo clamoroso, facendo persino venire il mal di pancia a qualcuno. 

Tanto tuonò che non piovve, creando una situazione differente rispetto all’assai meno dispendiosa banana appiccicata con il nastro adesivo che il 20 novembre 2024 da Sotheby’s a New York è stata acquistata per 6,2 milioni di dollari da Justin Sun, fondatore della piattaforma di criptovalute Tron. 

Se il wc d’oro non ha brillato come s’immaginava, è andata decisamente peggio a «Untitled», la donna crocifissa di Cattelan risalente al 2007 e presentata l’anno dopo in Germania a Pulheim sul muro esterno di una ex sinagoga oggi diventata chiesa. Comparsa da Christie’s il 19 novembre, ha chiuso la gara a 1,6 milioni di dollari, al cambio attuale circa 500mila euro in meno dell’aggiudicazione di 1,5 milioni di sterline raggiunta l’11 febbraio 2020 nella vendita londinese di Sotheby’s. E a proposito di fede, non ha furoreggiato nemmeno l’«Ultima Cena» dorata di Andy Warhol che, nella stessa occasione, ha fatto fermare il martello del banditore a 8,1 milioni di dollari con un ribasso di 600mila dollari rispetto a quanto era avvenuto il 17 maggio 2018 da Phillips a New York, quando il remake leonardesco era stato battuto per 8,7 milioni di dollari.

Di fronte a un contemporaneo instabile, la vera scossa è arrivata dai grandi classici e il 20 novembre Sotheby’s ha messo fieno in cascina con una manciata di lotti provenienti da collezioni prestigiose. La prima proposta è stata quella dei filantropi di Chicago Cindy e Jay Pritzker che ha ottenuto 109,5 milioni di dollari, con appena 13 opere di cui oltre il 50% appannaggio di un solo dipinto «Romans parisiens» di Vincent van Gogh che ha superato del 35% le previsioni con un’aggiudicazione di 62,7 milioni di dollari, riportando l’olandese sulla breccia.

A contendersi il bottino sono stati Helly Nahmad e un non meglio identificato tycoon asiatico rappresentato telefonicamente da Patti Wong, consulente della sede Sotheby’s di Hong Kong. Alla fine, l’ha spuntata quest’ultimo, che ha speso per un’opera che rappresenta la caducità della cultura (accanto ai libri ci sono tre malinconiche rose in un bicchiere), una cifra di otto volte superiore a quella di 37 anni fa. Nemmeno un’esagerazione. Il 27 gennaio 1988, infatti, «Romans parisiens» venne acquistato da Christie’s a Londra per 7,1 milioni di sterline, passando successivamente al mercante americano Richard Feigen che nel 1994 lo vendette ai coniugi Pritzker. 

Frida batte Georgia

A New York non poteva mancare nemmeno il Surrealismo, il movimento più gettonato del momento, e sempre il 20 novembre Sotheby’s ha proposto le 24 opere di Selma Ertegun, la collezionista di origini brasiliana, appassionata di fotografia e di musica jazz. La vendita, che ha ottenuto 98 milioni di dollari, non riporta il suo nome ma s’intitola 
«Exquisite Corpus», un appellativo che rimanda al dipinto clou della collezione, «El sueño (La cama)» di Frida Kahlo. 

Più che un sogno appare un incubo con l’immagine della morta che sovrasta il baldacchino dove dorme la stessa Frida, proposta con un autoritratto dai tratti intimisti. L’opera, come di consueto garantita, ha raggiunto, in base alle previsioni, 54,6 milioni di dollari che rappresenta non solo il record per l’artista (quello precedente risale al 2021 ed è di 34,9 milioni di dollari), ma anche la cifra più alta per una artista superando Georgia O’Keeffe che deteneva il primato dal 20 gennaio 2014 quando «Jimson Weed» del 1932, un suo classico fiore bianco, è stato venduto da Sotheby’s a New York per 44,4 milioni di dollari. 

In asta, accanto a René Magritte, Salvador Dalí, Dorothea Tanning e Yves Tanguy, compariva anche «Le Muse inquietanti» di Giorgio de Chirico nella versione del 1924 commissionata da André Breton ed esposta al MoMA e al Guggenheim di New York. Un curriculum eccellente, insomma, che avrebbe dovuto assicurare un’aggiudicazione di almeno 4 milioni di dollari confermando le previsioni massime. Invece non è stato così e l’opera ha dovuto accontentarsi di chiudere la gara a 3 milioni di dollari (la battuta d’asta è stata di 2,4 milioni), addirittura al di sotto di quanto era accaduto nel 2012 per «Ettore e Andromaca», 1925-30, che il 28 febbraio da Sotheby’s a Londra era stato venduto per 2,8 milioni di sterline. 

Sebbene il «pictor optimus» abbia dato di recente segnali di ripresa per le «Piazze d’Italia» degli anni Cinquanta, rimane ancora molta strada da fare per recuperare l’ingiusto gap che lo separa dai surrealisti di prima fascia. 

Messa da parte l’asta di Selma Ertegun, è apparsa assai meno avvincente l’asta di arte moderna proposta sempre il 20 novembre da Sotheby’s senza particolari blasoni, che ha ottenuto 97 milioni di dollari con 32 lotti tra cui «Le Jockey perdu» di René Magritte venduto per 12,3 milioni di dollari. Decisamente più favorevole l’appuntamento con Christie’s del 17 novembre che ha totalizzato 471,7 milioni di dollari, il risultato migliore della major durante la settimana newyorkese. In questo caso spiccano le «Ninfee» di Claude Monet a 45,5 milioni di dollari, rimaste tuttavia lontane dalla stima massima di 60 milioni e «Christopher Isherwood and Don Bachardy», il doppio ritratto di David Hockney che ha cambiato proprietario per 44,3 milioni di dollari, anche in questo caso al di sotto delle previsioni top attestate a 60 milioni. Ma poco importa pensando che nel 1985 lo stesso dipinto era rimasto invenduto da Sotheby’s a New York per appena 600mila dollari. 

Una bella rivincita, dunque, per un mercato che nella metropoli americana, nel suo complesso, ha confermato segnali di ripresa soprattutto per la fascia top che si era appisolata. Mentre fino a qualche tempo fa i capolavori non uscivano dai caveau, oggi tornano in gara ma solo se protetti da prezzi blindati. Tuttavia, «la voglia, la pazzia, l’incoscienza e l’allegria», come cantava Ornella Vanoni, non sono ancora arrivati. Salvo che per un Klimt da leggenda.

Claude Monet, «Nymphéas», 1901, passato di mano da Christie’s il 17 novembre a 45,5 milioni di dollari. Courtesy of Christie’s

Alberto Fiz, 07 dicembre 2025 | © Riproduzione riservata

Altri articoli dell'autore

La rubrica di «Il Giornale dell’Arte» che stabilisce i momenti cruciali delle tendenze economiche dei principali artisti presenti sul mercato italiano: il maestro della Metafisica s’impenna nell’ultimo triennio, mentre Burri dal 2016 ha perso terreno. Sul fronte della figurazione Guttuso si acquista a prezzi di saldo

Mentre i talenti emergenti appaiono sin troppo ondivaghi e il supercontemporaneo è già in briciole, le certezze arrivano dall’altra metà delle avanguardie, come dimostrato nel 2022 dalla Biennale veneziana di Cecilia Alemani, con l’80% delle presenze al femminile

Il punto sul mercato • Il movimento di Marinetti ha perso smalto e dovrebbe essere rilanciato partendo dalla liberalizzazione del mercato e da un maggiore rigore espositivo. Datazioni incerte e attribuzioni dubbie scoraggiano gli investitori. Tutto questo mentre Magritte e compagni volano

Tra i capolavori spiccano Klimt, Picasso e Van Gogh. E intanto Christie’s festeggia i 25 anni delle «Italian Sale» con un imprenditore milanese che amava la Transavanguardia

A New York si riparte: vendite oltre i 2 miliardi di dollari | Alberto Fiz

A New York si riparte: vendite oltre i 2 miliardi di dollari | Alberto Fiz