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La ricostruzione della Cappella Herrera nel Museo del Prado di Madrid

Foto © Museo Nacional del Prado

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La ricostruzione della Cappella Herrera nel Museo del Prado di Madrid

Foto © Museo Nacional del Prado

Il Museo del Prado «ricrea» la Cappella Herrera di Annibale Carracci

Dopo la mostra che nel 2022 a Madrid, Barcellona e Roma, ha riportato l’attenzione sullo straordinario ciclo di affreschi della Chiesa di San Giacomo degli Spagnoli a Roma disperso nell’Ottocento, il museo madrileno ha inserito nel percorso di visita una struttura modulare permanente che rispetta le proporzioni e la disposizione originale delle opere, affiancate da dipinti di scuola bolognese coevi

Nei primi anni del Seicento a Roma, poco dopo aver completato gli affreschi di Palazzo Farnese, Annibale Carracci ricevette la commissione per realizzare nella cappella della famiglia del banchiere di Palencia Juan Enríquez de Herrera (1539-1610) in San Giacomo degli Spagnoli, una delle due chiese della corona spagnola nell’Urbe insieme a Santa Maria del Monserrato, un ciclo decorativo dedicato al santo francescano del ’400 Diego de Alcalá. Il pittore ideò l’impianto decorativo, incentrato su episodi della vita quotidiana e sui miracoli del santo andaluso, canonizzato da Sisto V nel 1588, al quale Herrera attribuiva la guarigione di uno dei suoi figli, ed eseguì i cartoni di alcuni dei 19 affreschi previsti. Nel 1605 Annibale si ammalò e affidò l’esecuzione delle opere a Francesco Albani, che già lo aveva assistito all’inizio dell’impresa, e ad altri collaboratori, tra i quali Domenichino, Giovanni Lanfranco e Sisto Badalocchio, i quali assicurarono al ciclo una coerenza stilistica in cui è arduo riconoscere le diverse mani. La decorazione della cappella fu compiuta in brevissimo tempo, dal 1602 al 1605, e fu la commissione più importante degli ultimi anni di Carracci, che sarebbe morto il 15 luglio 1609, a 49 anni. Il ciclo fu molto elogiato dai contemporanei e anche gli spagnoli Zurbarán, Ribera e Murillo mutuarono da Annibale l’iconografia del santo.

Ubicata sul lato sinistro di San Giacomo, in piazza Navona, la Cappella Herrera, tanto ammirata e imitata nel Sei e Settecento, fu smantellata nel 1833, a causa del pericolo di crollo nella chiesa, abbandonata dagli spagnoli nel 1818 perché «dicevasi minacciasse ruina». Gli affreschi, staccati già nel 1830 e trasferiti su tela, furono portati in Santa Maria del Monserrato e da lì, nel 1851, inviati in Spagna, divisi tra il Museo del Prado a Madrid (sette frammenti)  e la Reial Acadèmia Catalana de Belles Arts de Sant Jordi (nove frammenti, oggi al Mnac-Museu Nacional d’Arte de Catalunya). È invece ignota l’ubicazione dei restanti tre frammenti. Il ciclo di affreschi riveste un eccezionale rilievo, benché a causa della dispersione ottocentesca sia poco conosciuto. Lo stato di conservazione dei dipinti, particolarmente precario nel caso di Madrid, ne ha inoltre reso difficile lo studio e la valorizzazione. In vista della mostra a cura di Andrés Úbeda che nel 2022 ha toccato Madrid, Barcellona e Roma (Palazzo Barberini), il restauro dei frammenti ha permesso finalmente di approfondire le ricerche su questo testo fondamentale dello stile tardo di Carracci e dei suoi collaboratori. 

Già nella Sala dei Marmi di Palazzo Barberini i visitatori avevano potuto accedere a una struttura effimera che riproponeva, nelle uguali proporzioni, la Cappella Herrera, con all’interno gli affreschi secondo la ricostruita sequenza originaria del ciclo. Ora dal 4 novembre il Museo del Prado presenta una «ricostruzione» della «Capilla» che entrerà a far parte in permanenza del circuito di visita, grazie alla collaborazione di OHLA, azienda spagnola attiva nella conservazione del patrimonio culturale, e con il progetto architettonico di Francisco Bocanegra, ideatore di una struttura modulare permanente che rispetta le proporzioni e la disposizione originale degli affreschi: quattro di essi, di forma trapezoidale, decoravano la volta, i restanti tre, di forma ovale, i pennacchi. Le opere esposte alle pareti della  Sala 4 dell’Edificio Villanueva, poi, sono degli stessi autori degli affreschi o dei loro allievi diretti o collaboratori (tra gli altri, Ludovico Carracci, Domenichino, Guido Reni) e  offrono nell’insieme un panorama della pittura bolognese del primo terzo del Seicento.

 

 

 

 

 

 

 

Daria Berro, 06 novembre 2025 | © Riproduzione riservata

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