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L’immagine ufficiale di Oxford del Pitt Rivers Museum della teca al centro del dibattito. © Pitt Rivers Museum, Oxford

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L’immagine ufficiale di Oxford del Pitt Rivers Museum della teca al centro del dibattito. © Pitt Rivers Museum, Oxford

Come esporre le teste dei nemici morti

Il delicato rapporto tra musei e resti umani: questione di didascalie

Martin Bailey

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Il Pitt Rivers Museum riesaminerà la sua esposizione di «teste rimpicciolite», che sono attualmente presentate in una vetrina intitolata «Trattamento dei nemici morti». Queste teste umane con tanto di pelle e capelli, note come «tsantsa», venivano realizzate dai popoli Shuar e Achuar di Ecuador e Perù, fino agli anni ’60 del secolo scorso.

Venivano confezionate scuoiando la pelle e i capelli dai teschi umani dei nemici maschi caduti in battaglia, eliminando ossa, cervello e altre parti. Le cavità oculari e le bocche venivano cucite nella convinzione che così si evitasse la fuga dell’anima del defunto. Le teste rimpicciolite così ottenute hanno le dimensioni di una grossa arancia. Lo scopo di accaparrarsi e conservare le teste dei nemici era quello di ottenere la potenza che vi era contenuta. La cosa importante non era la testa, ma l’anima del defunto. Il concetto della tsantsa è che se qualcuno non muore, qualcun altro non potrà nascere.

Le tsantsa sono gli oggetti più noti del museo. L’ex direttore Michael O’Hanlon conferma che la domanda più frequente dei visitatori è «Dov’è la vetrina delle teste rimpicciolite?». Laura van Broekhoven, che da due anni dirige il Pitt Rivers Museum, sta ripensando gli allestimenti del museo, compreso quello delle tsantsa, e si sta confrontando con rappresentanti della comunità Shuar. Mostra un atteggiamento aperto su quanto dovrebbe essere fatto, compresa la possibilità della restituzione delle tsantsa all’Ecuador: «Se concludessimo che la loro esposizione è inappropriata, potrebbero essere rimosse. Finora non abbiamo indicazioni in questo senso ma stiamo ascoltando tutte le opinioni».

Fin dagli anni ’40 del secolo scorso, la vetrina contiene reperti di resti umani e oggetti correlati provenienti da tutto il mondo, tra i quali 4 tsantsa con lunghi capelli. Finora il museo non ha consentito ai media di riprodurre le fotografie della vetrina, per preoccupazioni legate al sensazionalismo, eccezionalmente concessa a «The Art Newspaper», partner internazionale di «Il Giornale dell’Arte». La Van Broekhoven fa notare come l’esposizione «Trattamento dei nemici morti» sia «tanto gradita quanto temuta» dai visitatori: «Molti considerano questi oggetti bizzarri, raccapriccianti, barbarici, un’esposizione “stravagante”. Nell’attuale esposizione la pratica della caccia di teste è totalmente fraintesa, invece che essere meglio compresa. E le comunità Shuar non vogliono essere rappresentate in modo così stereotipato».

La revisione delle tsantsa viene attuata nel quadro del più ampio progetto «Questioni di didascalie», che riconsidererà le didascalie storiche del Pitt Rivers Museum, alcune delle quali risalgono alla sua fondazione nel 1884. Il museo ha intenzione di finanziare di ricerche sulla provenienza delle tsantsa e di invitare ricercatori ecuadoregni e rappresentanti Shuar. Gestito dall’Università di Oxford, il museo pone grande enfasi nella promozione della comprensione interculturale.

Van Broekhoven ritiene vitale coinvolgere la comunità Shuar, che oggi conta circa 40mila membri. Un problema ulteriore è costituito dal fatto che la comunità è al momento coinvolta in controverse decisioni in merito a concessioni di sfruttamento minerario sul loro territorio. Van Broekhoven è consapevole del contesto etico in cui è avvenuta l’acquisizione originale delle tsantsa, dato che in alcuni casi questo ha comportato comportamenti violenti e criminali da parte dei collezionisti che rispondevano agli appetiti dei musei.

Questo aspetto è stato recentemente esaminato dall’antropologa Frances Larson: «Certi collezionisti si comportavano in un modo che a casa loro sarebbe stato considerato criminale. Alcuni rubavano i cadaveri dagli ospedali, compravano corpi dalle prigioni, offrivano beni agli indigeni in cambio di parti dei loro parenti defunti o dei nemici dopo battaglie o azioni militari». Oggi a molti pare davvero inappropriato che i musei espongano resti umani acquistati in circostanze simili.

Il Pitt Rivers Museum deve anche tenere conto delle Linee guida approvate nel 2005 dal Governo britannico sull’esposizione di resti umani nei musei, secondo cui «deve essere posta grande attenzione alle ragioni e alle circostanze che hanno portato all’esposizione di resti umani». Oltre che al Pitt Rivers Museum, le tsantsa sono possedute dalla maggior parte dei principali musei etnografici europei e non solo, come lo Smithsonian’s Natural History Museum di Washington, il Quai Branly di Parigi e il Museo Etnografico di Berlino. La collezione più rilevante si trova al Museo Pumapungo di Cuenca, in Ecuador.

L’immagine ufficiale di Oxford del Pitt Rivers Museum della teca al centro del dibattito. © Pitt Rivers Museum, Oxford

Martin Bailey, 15 aprile 2019 | © Riproduzione riservata

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