Maria Antonella Fusco

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I miei 10 anni nel regno dei segni

Il bilancio della dirigente Maria Antonella Fusco all'Istituto Centrale per la Grafica

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Franco Fanelli

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La scorsa primavera Maria Antonella Fusco ha lasciato dopo dieci anni il ruolo di dirigente dell’Istituto Centrale per la Grafica (Icg), passato a Maria Cristina Misiti. Le mostre temporanee, in un museo che in ragione della tipologia delle sue collezioni non può esporle in maniera permanente, hanno contribuito a potenziare l’immagine e la funzione dell’Istituto, spaziando dall’antico (Salvator Rosa) al contemporaneo (Kounellis, Frare, Napoleone, Velly, Bindella, Tirelli, Caccavale e altri ancora) senza escludere le grandi individualità del moderno (tra gli altri, Morandi e Hartung). Ma le mostre sono il biglietto da visita di un’attività di studi, ricerche, promozione e divulgazione che all’Icg, in questo decennio, è stata ancora più intensa su altri versanti.

Dottoressa Fusco, quali erano i suoi obiettivi all’atto della sua nomina?

Ho lavorato, anzitutto, per traghettare a Istituto centrale la struttura voluta da Carlo Bertelli, unificando nel 1975 la Calcografia Nazionale e il Gabinetto Nazionale delle Stampe, già diretti da storici dell’arte come Carlo Alberto Petrucci e Maurizio Calvesi: questo ha significato riprendere le forti motivazioni teoriche legate al mondo della tutela del patrimonio artistico, riunendo per la prima volta i direttori delle grandi collezioni di disegni e stampe italiane. Così come, portando a compimento gli impegni assunti da Serenita Papaldo, che ha diretto l’Istituto dopo Evelina Borea e Michele Cordaro, nel 2010 si è svolto il grande convegno internazionale dei «50lux» (i direttori delle 50 collezioni di grafica più importanti al mondo). È stata, per tutto l’Istituto, un’importante affermazione di autorevolezza scientifica, proprio nel momento in cui perdevamo completamente le risorse della valorizzazione in seguito alla grave crisi economica.

Quali sono state le difficoltà che ha incontrato l’Istituto?

Questi dieci anni hanno coinciso sia con un’inedita carenza di risorse per mostre e valorizzazione, sia con le ripetute riforme del settore e il ridisegno delle strutture di tutela, ma anche di molte tradizioni importanti del nostro mondo. Penso innanzitutto all’abolizione delle declinazioni specialistiche della figura di assistente tecnico, ora omologata indipendentemente dalle necessità della Soprintendenza e del museo di riferimento. Nel nostro caso, se non si procederà a ripristinare la figura dell’assistente tecnico calcografo, e a bandire i concorsi relativi, si perderà completamente il sapere plurisecolare che lega la storica Stamperia dell’Istituto alla sua Calcoteca, alle 23mila matrici in rame che le donano il nome e la caratteristica. È essenziale progettare un concorso specifico: gioveranno i saperi su incisione e stampa, preparati con cura dai docenti di Grafica d’arte delle Accademie di Belle Arti, che ho chiamato a raccolta nel 2013 per il primo Congresso nazionale, dal titolo «Segno e Insegno», con il coordinamento di Giovanna Cassese. Il congresso, e il bel volume di atti che ne è scaturito, sono stati gestiti dal Servizio educativo dell’Istituto, diretto da Rita Bernini con Gabriella Bocconi e Isabella Rossi.

La Calcoteca conserva uno straordinario nucleo di matrici di Giovanni Battista Piranesi, del quale nel 2020 ricorrerà il terzo centenario della nascita, che sarà celebrato con una grande mostra.

Certo, a cui si affiancherà la proposta contemporanea dell’archistar Sergei Tchoban, sul rapporto di Piranesi con la città del futuro. Al grande incisore abbiamo dedicato il Progetto Piranesi, diretto da Ginevra Mariani con Giovanna Scaloni. Per Piranesi, come per altri incisori presenti con la totalità della loro opera incisa, penso a una sorta di Museo biografico, sulla scia della concezione della National Portrait Gallery, in cui seguire gli artisti attraverso la loro opera: ne è prova la prossima esposizione delle matrici e stampe di Giorgio Morandi, accanto alle «Bottiglie» di Luigi Ontani, che ho fatto acquistare per questo scopo.

Quali altre attività sono state organizzate con le scuole?

Grazie al Servizio Educativo è stato possibile articolare i progetti di alternanza scuola lavoro, con istituti specialistici come l’Isia di Urbino, realizzare video divulgativi sull’Icg e le sue attività, e soprattutto partecipare alla Formazione internazionale del Ministero, erogando moduli formativi per allievi, artisti e storici di diversi Paesi, dalla Bosnia alla Lituania, dal Portogallo alla Cina. Lo stesso team ha realizzato un progetto ambizioso e unico in Italia, quello di un museo didattico, Edumuseo, dedicato alla conoscenza del patrimonio dell’istituto. Si tratta di circa 250mila stampe, 25mila disegni, 10mila fotografie storiche, decine di video d’artista, che si vanno ad aggiungere alle matrici e alle stampe tratte da esse, con i relativi disegni preparatori. L’esperienza delle due Calcografie storiche europee, la Chalcographie du Louvre e quella della Real Academia de Bellas Artes de San Fernando a Madrid, nonché quella dell’Albertina di Vienna, ci ha insegnato che le collezioni di grafica non possono essere esposte permanentemente, sia per motivi di conservazione che di coerenza scientifica con le ricerche specialistiche. Al contempo, l’analisi dell’attività didattica del Museo Plantin Moretus di Anversa ci ha confermato nell’idea che la creazione di una rete europea di musei della Grafica e della Stampa potrebbe aprire prospettive importanti sul versante dell’educazione al patrimonio culturale.

Con quali esiti?

Queste considerazioni, unitamente all’esperienza da me maturata dal 1998 al 2009 nella costituzione della Rete dei servizi educativi dei Musei italiani, mi hanno portato alla musealizzazione dell’Istituto, sia con gli apparati divulgativi collocati negli ambienti della Calcografia e di Palazzo Poli, sia con la destinazione museale delle sale espositive a pianoterra, con le grandi vetrine affacciate su via della Stamperia. Un’attività costantemente coniugata con il tema dell’accessibilità per le disabilità sensoriali e cognitive, aperta con una formazione interna curata dal responsabile dei pubblici del Louvre, Cyrille Gouyette, che ci ha introdotto al tema del disegno da scultura antica per i disabili visivi. Da museologa, ho avuto la conferma di quanto più volte teorizzato, che fare Museo è operazione di alta valenza scientifica, costituendo l’occasione per costruire, dall’interno delle collezioni, la Storia della Grafica, e contemporaneamente creare un rapporto di fidelizzazione con il pubblico nel nome dello «studio, educazione e diletto». È stata proprio questa sintonia con la fulminante definizione di Museo dell’Icom (che speriamo resista alle nuove vulgate) a meritare al Museo Didattico dell’Istituto una menzione speciale per il Premio Icom 2017, per «eccezionale impegno per rendere l’intero patrimonio fruibile a tutti».

Come si è articolato l’approfondimento e lo studio delle collezioni?

Con ricerche specifiche, tra le quali voglio almeno ricordare l’importante lavoro di Giulia Fusconi con Angiola Canevari su Pietro Testa. In questa direzione abbiamo orientato i tre Centenari voluti dal Ministero, a partire dall’approfondimento in corso sulla Gioconda, tradotta da Luigi Calamatta, con contributi, oltre al mio, di Ilaria Fiumi Sermattei, Giovanna Scaloni e Lucia Ghedin. Nel 2020, per Raffaello, Rita Bernini con Gabriella Bocconi e Isabella Rossi propone la rivisitazione scientifica e la messa in rete di tutto il patrimonio di stampe d’après, che furono più di trent’anni fa catalogate per la grande mostra «Raphael invenit». Abbiamo ottenuto per questo progetto il sostegno del Paper project della Getty Foundation. Nel 2021, grazie a un accordo con la Società Dante Alighieri, ho progettato con Ilaria Fiumi Sermattei una tiratura speciale delle 146 matrici dedicate tra il 1824 e il 1826, da Bartolomeo Pinelli, alla Commedia «sublime». Una sorta di anastatica con edizione critica, preceduta da saggi storici.

«Grafica» è un termine dalle molte declinazioni. Come si è rapportata la sua esperienza direttiva con gli altri versanti del segno grafico?

Grazie alla stima e all’amicizia per due docenti della Sapienza, ho aperto il mio mandato con la bella mostra curata da Antonella Sbrilli, «Ah, che Rebus!» (2010-2011) e l’ho conclusa, con vichiana metodus, con il progetto di Gianfranco Crupi, «Pop-App. Scienza, arte e gioco nella storia dei libri animati». (2019) Corsi e ricorsi dell’infinito svolgersi della grafica d’arte, una gioia e una fortuna che la vita mi ha riservato.

La Calcoteca all'Istituto Nazionale per la Grafica di Roma. © Istituto Nazionale per la Grafica, Roma

Maria Antonella Fusco

Franco Fanelli, 11 dicembre 2019 | © Riproduzione riservata

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