La gaia scienza di Armando Marrocco

Opere degli anni Sessanta da Spaziobianco

Una delle opere esposte allo Spaziobianco di Torino (particolare)
Franco Fanelli |

Torino. L’«antidoto» al pathos della pittura informale ed espressionista astratta, negli anni Sessanta, venne sperimentato dagli artisti in varie formule. Una di esse fu il ritorno all’oggetto e al ready made; un’altra si basò sul ritorno al progetto (l’antitesi dell’improvvisazione più o meno felice) come prefigurazione del funzionamento dell’opera d’arte.

E gli artisti riaprirono il dialogo con la scienza; trattandosi di arte visiva, la teoria della percezione, ma anche la capacità dell’occhio di conferire movimento e azione all’immobilità dell’immagine (in questo caso aniconica) spalancavano nuovi campi d’indagine. Si trattava di una «gaia scienza» capace di sollecitare la visione e la visionarietà progettuale. Entrarono in gioco anche nuovi materiali, quali il plexiglas, l’acciaio inox, i magneti, l’acciaio plastificato, la stessa energia elettrica.

Armando Marrocco (1939)
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(l'articolo integrale è disponibile nell'edizione su carta)

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