Milano prima e dopo il grande stop

Massimo Trabaldo Togna, banchiere e collezionista: «Buone amministrazioni hanno riacceso la vita culturale di una città internazionale, ma ancora a misura d’uomo»

Massimo Trabaldo Togna
Michela Moro |

Massimo Trabaldo Togna è presidente di Cassa Lombarda, banca privata focalizzata sul private banking nata a Milano nel 1923, ed è anche vicepresidente della controllante svizzera Pkb Privatbank. Alla professione di banchiere internazionale fa da contraltare la sua grande passione: l’arte in tutti i suoi aspetti. Per questo ha contribuito allo sviluppo di due distinte collezioni d’arte: una dedicata ai dipinti dell’arte lombarda a cavallo del Quattro e Cinquecento e l’altra a opere contemporanee internazionali, entrambe legate alla banca.

Dopo la laurea in Giurisprudenza, Trabaldo Togna si è occupato di cinema e assieme alla moglie Elisabetta Zegna e ad alcuni amici agli inizi degli anni Ottanta ha aperto a Londra Contrast Gallery, la prima galleria privata totalmente dedicata alla fotografia. Osservatore acuto e aggiornato, con la moglie Elisabetta continua a condividere la passione per l’arte contemporanea e ad acquistare opere per la propria collezione personale.

Presidente, com’è cambiato l’approccio all’arte post Covid? L’arte ha perso o acquistato valore?
Forse è un po’ presto per dire se l’approccio all’arte sia cambiato dopo la terribile esperienza negli ultimi mesi. Ho letto che in Iran, Paese molto colpito dal virus la cui popolazione, soprattutto femminile e delle grandi città, è assetata di cultura, c’è stata una forte reazione al lockdown con l’apertura a Teheran di una serie di nuovi spazi espositivi dedicati all’arte contemporanea. È un po’ ciò che è successo in Italia alla riapertura dei musei e all’affluenza che hanno registrato: dopo un periodo di buio profondo, sentiamo tutti bisogno della luce che solo l’arte può trasmettere. L’arte è nei momenti più difficili un grande segno di rinascita.

Arte consolatoria?
Il termine consolatorio non mi piace, perché può essere frainteso. La vera arte, con il suo richiamo all’essenza della vita e al suo significato più profondo e all’esperienza personale dell’artista, è a volte drammatica ma può procurare gioia, senza per questo consolare. Certo in un momento di sconforto la visione di un capolavoro di Piero della Francesca può aiutare a ritrovare il senso profondo della vita.

È cambiato a Milano l’approccio alla cultura sia dei privati sia del pubblico?
Negli ultimi anni, con il grande cambio di passo che Milano ha avuto in tutti i settori, anche l’approccio culturale si è fortemente arricchito con proposte di grande spessore. Tornando all’arte contemporanea, se per molti anni le proposte più innovative e interessanti venivano quasi esclusivamente da eroici pionieri del mondo delle gallerie private, le istituzioni pubbliche si sono ultimamente risvegliate presentando programmi di mostre all’altezza del ritrovato splendore culturale della città. Non dimentichiamo lo straordinario lavoro fatto da alcune istituzioni private come Fondazione Prada, Pirelli HangarBicocca e Gallerie d’Italia.

Come reputa lo stato milanese dell’arte in senso lato?
Se c’è qualcosa che potrebbe essere migliorata è la programmazione: troppe proposte concentrate e accavallate in certi periodi dell’anno. Se c’è, come da più parti viene riscontrata, fame di cultura da parte degli abitanti della città e dei suoi turisti, questa non può essere appagata a stagioni alterne.

Come ha iniziato a collezionare?
Da giovane ero un appassionato fotografo che viveva con la macchina fotografica a tracolla e passava ore in camera oscura. Ben presto ho iniziato a interessarmi all’arte contemporanea. Il mio primo acquisto è stata la litografia di David Hockney, «Tree», che ritrae un albero stilizzato. Il primo dipinto che abbiamo acquistato mia moglie e io è stato a Londra nel 1980: era di un giovane pittore inglese che aveva esposto le sue prime opere al termine degli studi all’accademia. Aveva molto talento, ma purtroppo ha dovuto interrompere la carriera artistica a causa di importanti disturbi psichici. Anche se nel campo dell’arte è un signor nessuno, non mi pento dell’acquisto.

Colleziona sempre con sua moglie?
Quasi tutte le nostre decisioni d’acquisto sono concordate e condivise fin dalla prima visione dell’opera con mia moglie Elisabetta. E ciò che entra nella nostra collezione appartiene a entrambi.

Acquista di più in gallerie italiane o straniere?
Indifferentemente italiane o straniere. Molte volte ho creduto di «scoprire» nuovi artisti sul mercato internazionale per realizzare, poi, che avevano già esposto in qualche piccola mostra in Italia. Le gallerie italiane, non solo quelle milanesi, fanno un grande lavoro di ricerca sul mercato artistico internazionale. Qualche volta a discapito degli artisti italiani, che sono costretti a trovare una prima affermazione all’estero prima di ritornare, già riconosciuti, sul mercato nazionale.

Più alle fiere o in galleria?
Sicuramente in galleria. Trovo utili le fiere per trovare nuovi spunti e, qualche volta, conferme. Sono però molto faticose e dispersive. Visito comunque le principali fiere. Tra le maggiori di carattere internazionale, reputo necessario non perdere la visita di Art Basel e di tutto ciò che le sta attorno.

Che cosa si aspetta da Miart online? Lei ha fatto acquisti in aste e fiere digitali?
Francamente non lo so, spero mi possa sorprendere. La visione di opere d’arte online non può essere che un’esperienza riduttiva, pur supportata dalle migliori tecnologie messe a disposizione oggigiorno. Raramente ho acquistato un’opera, soprattutto se di valore economico per me non trascurabile, senza averla vista fisicamente. Mi è capitato il contrario solo per opere di artisti che ritengo di conoscere talmente bene da poter percepire da un’immagine in alta definizione l’essenza stessa dell’opera reale. Ho comprato ultimamente in questo modo un’opera di Mirco Marchelli, la cui poesia e il gusto del divertimento mi appassionano da anni.

Lei ha dell’arte una visione personale come collezionista e una professionale come banchiere. Cassa Lombarda ha una politica dedicata all’art investment?
Da anni organizziamo visite guidate riservate ai nostri clienti delle principali mostre pubbliche milanesi, ma Cassa Lombarda non ha una vera e propria divisione dedicata all’art investment; è un servizio che rendiamo ad alcuni clienti selezionati attraverso la nostra rete di qualificati consulenti esterni.

La città è molto cambiata, i milanesi hanno provato la spiazzante sensazione di essere orgogliosi della propria città e dell’energia che si respirava. Poi è arrivato il Covid-19 e le critiche alla città che si era «vantata» troppo si sono sommate al grande stop generale. Come le pare si stia reagendo?
Quello che ha vissuto Milano negli ultimi anni ha del miracoloso. Lo dico da milanese d’adozione che mai avrebbe immaginato un tale riscatto dell’orgoglio milanese che è stato alimentato da una serie di scelte coraggiose e da alcune buone amministrazioni che si sono succedute. I tempi bui dell’epidemia sono appena alle nostre spalle per prevedere se ci saranno ripercussioni durature. Certo la funzione della città, come quella di tutte le città del mondo, andrà ripensata. Difficile credere che la grande energia accumulata in questi anni e oggi assopita non riesploda. La città non si è mai fermata: prova ne sono le tante iniziative immobiliari che continuano a essere sviluppate.

Considera Milano una città libera?
Lo è sicuramente da molti punti di vista, ma le manca la completa libertà d’idee, di spirito e di comportamenti delle grandi metropoli internazionali. Personalmente, mi auguro che Milano rimanga ciò che è e che mantenga le caratteristiche di città a misura d’uomo che la rendono tanto speciale. Faccio l’esempio di una città americana: Boston non è New York né, per fortuna, vuole diventarlo.

Com’è cambiata la cultura in senso lato dai tempi d’oro della capitale morale o della Milano da bere che erano, al di là delle critiche, vivaci punti di riferimento?
Non ho vissuto per motivi anagrafici il grande periodo della rinascita del dopoguerra. A leggere le testimonianze dell’epoca, oggi forse mitizzate, si possono rimpiangere le occasioni, per chi ne fosse interessato, a incontrare in luoghi pubblici i grandi personaggi della cultura del momento, fossero essi artisti o intellettuali. Penso ci fosse maggiore interazione tra mondi che tendono a vivere in parallelo. Ho vissuto, invece, il periodo della Milano da bere che ho sempre trovato un azzeccato slogan pubblicitario. Mi sembra che la vita culturale degli ultimi anni, anche se forse meno ostentata, sia di maggiore sostanza.

La borghesia milanese contribuiva più attivamente di oggi? Le grandi famiglie sentono ancora questo impegno?
Il panorama delle famiglie della grande borghesia milanese è cambiato molto negli anni. Alcune non hanno più la stessa rilevanza, altre più recenti si sono a loro sostituite. Alcune famiglie esercitavano sicuramente un maggior peso sulla vita culturale della città di quanto non facciano quelle di oggi. È presente, però, un tessuto d’imprenditori o professionisti borghesi molto esteso che non ama mettersi in mostra e che contribuisce generosamente all’attività culturale della città.

Si può progettare il futuro della cultura cittadina? Chi lo fa o dovrebbe farlo?
È compito dell’amministrazione pubblica dettare le linee guida con l’ausilio prezioso delle nostre eccellenze universitarie. Bisogna, però, lasciare il massimo spazio alla ricchezza dell’improvvisazione, termine che noi italiani conosciamo bene, ma che voglio usare per una volta in senso positivo. Il Fuori Salone è il più grande esempio di come l’apporto della creatività non programmata e, in qualche modo, disordinata ha finito per dar vita a un evento che per originalità e dimensione è unico al mondo. Le grandi Università milanesi sono un indiscutibile centro d’innovazione, come lo è il tessuto industriale che lambisce la periferia della città. La grande novità del prossimo futuro è Human Technopole nell’ex area dell’Expo. Credo che il futuro milanese dell’innovazione si giochi sul suo completo successo. È una grande opportunità per Milano e per l’Italia.

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