Innegabilmente il tema del muro, frontiera/barriera che esclude, così presente nel nostro tempo, ricorre molto anche in esposizioni, installazioni e opere d’arte. In Germania, dopo che il Padiglione nazionale all’ultima Biennale di Architettura di Venezia ne ha fatto argomento della propria partecipazione, e alle soglie del 30mo anniversario della caduta del Muro di Berlino, la sensibilità mostrata in scrittura e curatela di importanti mostre di respiro internazionale è giocoforza particolarmente alta.
Così anche questa imminente «Durch Mauern gehen» («Attraversare i muri»), collettiva a cura di Till Fellrath e Sam Bardaouil organizzata al Gropius Bau e aperta al pubblico dal 12 settembre al 19 gennaio, non disdegna di cimentarsi con uno degli argomenti più sentiti dalla scena artistica anzitutto berlinese e poi, per estensione, tedesca.
La partecipazione è assolutamente internazionale, con opere di Jose Dávila, Mona Hatoum, Nadia Kaabi-Linke, Christian Odzuck, Anri Sala, Regina Silveira e altri artisti del panorama contemporaneo che proprio qui al Gropius Bau sono chiamati a confrontarsi con uno dei siti cittadini più ricchi di memorie del Muro della Ddr, in una posizione dunque nel bene o nel male privilegiata, e a esprimersi sul tema delle barriere, delle separazioni e dei confini artificiali creati dall’uomo.
Alcuni di loro hanno sperimentato il trauma dell’esclusione e la convivenza in società divise: nel contesto del trentesimo anniversario del «Mauerfall» (la caduta del Muro, il 9 novembre 1989) e della conseguente riunificazione tedesca, «Durch Mauern gehen» vuole sensibilizzare il pubblico su aberrazioni che paiono diventate normalità accettata, descrivendo come i muri possano spingere a sentimenti di vulnerabilità e ansia in chi li subisce, rappresentando identità individuali e collettive.
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