Quel ramo del Lago di Como che ispirò Talbot

Il celebre fotografo maturò le sue scoperte tecniche anche in terra italica

«Articles of China on two shelves», 1839-44, di William Henry Fox Talbot
Monica Poggi |  | MODENA

Il merito dell’invenzione della fotografia va suddiviso fra diversi personaggi: nei primi decenni dell’800 sono in tanti, perlopiù aristocratici appassionati di chimica e ottica, a impegnarsi con buoni risultati nel compito di fissare su un supporto ciò che la camera oscura permette di vedere. Fra le differenti tecniche messe in campo, quella che più si avvicina alla fotografia che guadagnerà maggiore diffusione negli anni (su carta e riproducibile grazie all’uso di una matrice negativa) è il calotipo, inventato da William Henry Fox Talbot negli stessi anni in cui il più noto dagherrotipo si impone come primo procedimento fotografico della storia.

È nella tenuta di Lacock Abbey nel sud dell’Inghilterra che, a partire dal 1834, Talbot spende le sue giornate fra carta da lettere, sale e cloruro d’argento, ma la sua scoperta ha importanti legami anche con il nostro Paese. Proprio sulle rive del Lago di Como, spinto dalla frustrazione di non riuscire a riprodurre la bellezza del paesaggio, decide di dedicarsi a questa missione non appena il suo viaggio sarà concluso.

La possibilità di frequentare gli ambienti scientifici di tutta Europa, inoltre, gli aveva permesso di conoscere diversi studiosi, fra cui il modenese Giovanni Battista Amici, matematico, astronomo e costruttore di strumenti ottici, con cui intraprende una fitta corrispondenza attorno agli esiti della sua ricerca. A lui invia anche alcune prove fotografiche, oggi conservate dalla Biblioteca Estense. Da questo nucleo di immagini nasce «L’impronta del reale. William Henry Fox Talbot. Alle origini della fotografia», presso le Gallerie Estensi dal 12 settembre al 10 gennaio, a cura di Silvia Urbini e Chiara Dall’Olio. In mostra più di 100 pezzi fra disegni fotogenici, calotipi, dagherrotipi, incisioni e fotografie contemporanee.

La ricchezza dell’esposizione si esprime anche nella presenza dei carteggi fra Talbot e Amici, oltre ad alcune rare strumentazioni scientifiche, due dei primi volumi fotografici mai realizzati (The Pencil of Nature pubblicato a Londra da Talbot nel 1844, la cui copia in mostra è stata donata dall’autore stesso al Granduca di Toscana grazie alla mediazione dello scienziato modenese, e la raccolta sulle alghe inglesi realizzata dalla botanica Anna Atkins nel 1853 con la tecnica della cianotipia) e alcune opere realizzate con l’ausilio della camera oscura prima dell’invenzione della fotografia, descritta anche nelle tavole della Stamperia Imperiale di Vienna sulle tecniche di riproduzione della realtà.

Uno sguardo che va dall’immagine prefotografica a testimonianze contemporanee, disseminate per tutto il percorso espositivo, con autori del Novecento che in anni differenti hanno trovato nella fotografia delle origini uno stimolo per indagare il linguaggio e il proprio tempo, anche oggi che la carta è stata sostituita dall’inconsistenza del pixel.

© Riproduzione riservata Autoritratto in calotipia di William Henry Fox Talbot. Immagine tratta da Wikipedia
Altri articoli di Monica Poggi