Guglielmo Gigliotti
Leggi i suoi articoliCon una mostra da Gagosian, aperta dal 10 settembre al 17 ottobre, la pittura di Stanley Whitney torna alla sua fonte. È stata proprio Roma a produrre quella svolta che gli ha aperto le porte di un nuovo stile, ancora adottato. Nel 1992-97 Whitney è vissuto nella Capitale e ha trasfigurato la regolarità classica che trovava a ogni angolo e in tutti i musei in scacchiere policrome, una sorta di geometria ludica, in cui traduceva, secondo la sua testimonianza, anche la gioia della scoperta dell’Italia (ora vive infatti tra Parma e New York).
Le suggestioni di Palazzo Farnese, o del Colosseo, o anche delle urne funerarie ammirate al Museo Nazionale Etrusco, sono diventate nella pittura astratta di Whitney colore, ritmo, spazio, secondo cadenze che, come dichiarato dallo stesso artista, conciliano Piet Mondrian con le trapunte afroamericane della sua infanzia e il free jazz.
Ma non c’è solo Roma: in un grande dipinto del 2019, «Bertacca 2», Whitney riproduce la tonalità vermiglio che ha trovato in affreschi visti al Museo Archeologico Nazionale di Napoli, provenienti da Boscoreale. Particolarità della procedura adottata è la mancanza di progettualità, anche nella strutturazione della griglia, che si forma tassello per tassello, secondo abbinamenti cromatici mai ordinati a priori.
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