Paolo Moreno
Leggi i suoi articoliNel bene e nel male gli esperimenti museali connotano la vita romana. Sulla via Ostiense la Centrale Montemartini offre un ossimoro di macchine epocali e scultura classica a chi lascia la città per l'aeroporto. A piazza Augusto Imperatore intercetta il nostro percorso la perenne provvisorietà del cantiere dell'Ara Pacis, detta Cernobyl nell'ironia dei Quiriti per l'impenetrabile «sarcofago» che l'ha sepolta. Ogni Amministrazione ha la sua archeologia nell'armadio e l'assuefazione è nemica delle speranze, ma quando si tratta di responsabilità privata la condanna è pronta. Riparte il compianto per la scomparsa collezione Torlonia di antichità, che fino agli anni Sessanta del secolo scorso si visitava nell'edifìcio tra la Lungara e via Corsini: fu allora rimossa per la trasformazione delle innumerevoli sale in appartamenti d'affìtto. Dopo le diatribe che giunsero alla minaccia di sequestro, riprendono le trattative volte al ritorno di quel patrimonio alla fruizione pubblica: l'inquietante appeal delle statue nascoste e insieme i progressi nella gestione del tempo libero, dell'attrezzatura civica e dei contenitori, fanno presumere un eccellente impatto dell'evento sull'economia turistica. Ma c'è da chiedersi perché non trovi adeguata eco il risultato della Soprintendenza per i Beni archeologici dell'Abruzzo che ha esposto un nucleo non meno sorprendente di antichità Torlonia presso il Museo Nazionale di Celano.
Dopo il prosciugamento del Fucino, i materiali recuperati erano stati accolti nel palazzo Torlonia di Avezzano. Il terremoto del 1915 distrusse l'edificio, ricostruito in funzione di «casa di campagna». Si completò l'inventario dei reperti, ma nel 1950 le terre furono alienate per la riforma fondiaria e le antichità finirono a Roma. Si possono oggi ammirare al Castello Piccolomini di Celano resti preistorici e protostorici, armi, monete della Campania con le primitive emissioni di Roma, terrecotte, bronzetti, una testa alessandrina di Afrodite e quelli che per antonomasia sono i «rilievi Torlonia», con una veduta di città che intriga i topografi. Quanto alla collezione urbana, l'amarezza non è tanto che una generazione di archeologi abbia dovuto dimenticarla: insanabile resta la sottrazione della dimensione antiquaria alla congiunzione di natura, arte e storia che faceva di quel canto di Trastevere un vertice culturale. La raccolta si affiancava a palazzo Corsini, sede dell' omonima Galleria (dove confluì per donazione la quadreria Torlonia) e dei Lincei. Alle spalle dell'ex Museo Torlonia sta la caserma dei Carabinieri dove fu messo agli arresti Mussolini dopo il colpo di Stato del 25 luglio. Accanto si apre il cancello dell'Orto Botanico per chi voglia meditare nel verde più prezioso della capitale. Di fronte allo stabile che ospitava celebri statue si accede alla Farnesina, allietata dagli affreschi di Raffaello e altri sommi: erede della villa di Agrippa e Giulia, i cui dipinti (staccati, al Museo Nazionale Romano) erano capolavori della decorazione augustea.
Nel 1992 il Comune promosse la manifestazione «Invisibilia», dove riapparvero tra i fantasmi Torlonia la Estia in marmo pario e il brutale ritratto di Eutidemo della Battriana: fu pubblicato senza esito un progetto per la distribuzione delle centinaia di pezzi nel palazzo Torlonia di via della Conciliazione. L'attuale Sindaco ha coinvolto la Fondazione Cassa di Risparmio di Roma, la quale ha calato a sua volta le carte: la proposta di un sito tanto prestigioso da surclassare l'immobile di via dei Cerchi della previsione municipale. Si tratta del cinquecentesco palazzo Sciarra Colonna su via del Corso, che ai primi del Novecento ospitò il quotidiano «La Tribuna», poi «Il Giornale d'Italia» con le sue potenti rotative: leggo con sorpresa sulla stampa odierna che la struttura non sarebbe atta a reggere il peso dei marmi. La verità ha sempre aspetti politici, ma vorremmo che l'alternativa non diventasse concorrenza col risultato di una salita dei costi. Non meritiamo di assistere all'affondamento di quest'ultima evenienza di rivivere la leggenda della Lungara.
Delle raccolte romane quella Torlonia fu l'ultima costituita avanti l'unità d'Italia: per acquisti e ingressi da scavo, una stratificazione senza pari dei fasti archeologici a partire dall'umanesimo.
All'inizio dell'Ottocento, mentre si ristrutturava in piazza Venezia il palazzo di famiglia, Giovanni Raimondo Torlonia ottenne dall'antiquario Pietro Vitali un assortimento di opere, quindi i lotti derivati dalla passione di Bartolomeo Cavaceppi, amico del Winckelmann, e da storiche famiglie. Il secondogenito Alessandro aprì nel 1859 il Museo, cui si unirono la splendida statuaria dei Giustiniani e i ritrovamenti da Fiumicino e altri siti. L'insieme fu classificato per soggetti da Pietro Ercole Visconti nell'originaria disposizione e pubblicato dal nipote Carlo Ludovico, che intuì (per fortuna dei posteri) il valore documentario della moderna tecnica: Monumenti del Museo Torlonia di sculture antiche riprodotti con la fototipia 1884-1885. Vi giunsero infine le statue profughe dalla dimora di piazza Venezia, demolita nel delirio urbanistico di fine Ottocento: la Galleria Nazionale di Arte moderna ha ricomposto i miti scolpiti del disperso salone neoclassico, i dodici dèi in fuga prospettica verso il portento canoviano di Ercole e Lica. La scelta di palazzo Sciarra chiuderebbe il ciclo, riportando l'antico vicino al cuore perduto.