Myriam Zerbi
Leggi i suoi articoliTrieste. Che cosa accomuna il destino di Ippolito Caffi (1809-66), irrequieto e temerario pittore bellunese, geniale inventore di spettacolari scene notturne in cui il buio si accende e brilla di fuochi e Massimiliano d’Asburgo, vicerè del Lombardo-Veneto e ammiraglio della marina austriaca che a Trieste, sullo sperone carsico a picco sul mare si costruisce il Castello e il parco di Miramare tutto scorci e effetti di luce tra natura e artificio? Il gusto del sublime, le suggestioni e le inquietudini del viaggiare che, uno con la pittura e uno con le parole (Massimiliano scrive pittoreschi diari di viaggio) sanno raccontare. Si incrociarono in vita quando fu chiesto a Caffi di documentare l’accoglienza preparata al vicerè per il suo notturno arrivo a Venezia (ne nacque il quadro conservato a Miramare), si reincontrano idealmente oggi nel castello triestino dove Annalisa Scarpa, studiosa di riferimento per il pittore, ha riunito una quarantina di opere provenienti dai Musei Civici veneziani. La mostra «Ippolito Caffi, dipinti di viaggio tra Italia e Oriente», aperta fino all'8 dicembre, come una «sinfonia avanti l’opera» vuol essere preludio e prologo per l’evento che il prossimo anno celebrerà Caffi nel 150esimo anno dalla sua scomparsa e che presenterà al pubblico il corpus di lavori (dipinti e disegni) regalati ai Musei Civici veneziani da Virginia Missana, vedova del pittore morto nella battaglia di Lissa sulla nave ammiraglia «Re d’Italia» quando, reporter di guerra, documentava gli eventi bellici al seguito dell’esercito. Venezia con le sue feste e serenate notturne, Roma con i suoi carnevali e chiari di luna, Atene con i panorami dell’Acropoli e del Partenone, Costantinopoli con il bazar, Alessandria d’Egitto e le carovane, il Cairo con il vento Simun nel deserto, Gerusalemme e Hierapolis, sono tutte tappe di un itinerario alla scoperta di vita e opere di un pittore che trasforma la veduta in scenografico panorama.
Info: www.castellomiramare.org
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«Maktub» («è scritto») in arabo, «scripta manent» in latino