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Vittorio Sgarbi
Leggi i suoi articoliSono abituato alle polemiche pretestuose e insensate; ma il ritorno demagogico e «meridionalista» di Pino Aprile («Panorama», 15 ottobre 2015; Ndr) alla ferita dei Bronzi è un esercizio dialettico cui non mi sottraggo. Con una premessa: la fragilità dei Bronzi non è una peculiarità dei due più celebri, che non devono avere un trattamento privilegiato, rispetto alle regole e ai principi della tutela, solo perché più noti. I malati non si curano in base alla loro classe sociale. Tutte le opere d’arte sono fragili, e richiedono precauzioni. Quelle elencate suggestivamente da Aprile («otto specialisti hanno dovuto lavorare una settimana, dieci ore al giorno». Impegno irripetibile all’Expo? E perché? Quante inutili ore e quanti inutili specialisti hanno dovuto impegnare per l’Albero della vita?) per i soli Bronzi di Riace, nella pseudoscienza della conservazione e nello spreco di denaro, per uno scandaloso e ricattatorio business, dovrebbero valere per ogni altra opera della stessa epoca. Ogni spostamento è un rischio e, in alcuni luoghi, il rischio è accresciuto dalla maggior esposizione, non alla contingentabile contemplazione, ma alla sensibilità dell’obiettivo: per esempio, a fini terroristici. In questo caso, nessuna opera significativa andava portata all’Expo. Nessuna, non solo i Bronzi. E invece, all’insaputa di Aprile, sono arrivati a Milano il «Ritratto di ignoto marinaio» di Antonello (dal Mandralisca di Cefalù); 9 grandiose sculture di Nicola e Giovanni Pisano; 9 giganteschi Polittici di Giotto, di diverse provenienze, fra cui il polittico Stefaneschi dai Musei Vaticani; la fragilissima tomba del Tuffatore del Museo di Paestum, assoluto simbolo della Magna Grecia e della civiltà meridionale, sottratta ai visitatori di Paestum senza che nessuno protestasse. Pino Aprile, sensibile meridionale, non se ne è accorto. Perché le sue ragioni polemiche hanno a che fare con il divismo, che è anche la ragione perché io li avevo proposti, come simbolo positivo della civiltà meridionale e riscatto, davanti al mondo, di una Calabria tristemente nota per la ’Ndrangheta. Nessuna difficoltà a trasportarli, nonostante le diffuse bugie. Nessuna difficoltà a trovare sponsor per la remunerativa impresa. Già pronto un vagone predisposto con particolari ammortizzatori. Già pronte le casse che trasportarono i Bronzi a Roma per volontà del presidente Pertini, che li espose al Quirinale come «simboli della democrazia occidentale»; e anche quelle per il terzo inutile restauro nella sede della Regione Calabria (dove stettero 1.600 giorni a gambe in su per svuotarli insensatamente, con accanimento terapeutico, della terra di fusione). A Milano i Bronzi, al contrario di quanto afferma Aprile, non sarebbero dovuti andare (mai pensato) nel Padiglione Lombardia, ma a Palazzo Reale, che ha accolto fragili opere di Leonardo e la stessa tomba del Tuffatore. O, gratuitamente, nel Padiglione Italia, costato 100 milioni di euro (tre volte il museo di Reggio Calabria), che accoglie in una squallida portineria da condominio il fragilissimo, e non meno importante dei Bronzi, «Trapezoforo»di Ascoli Satriano. Ci sono dunque due Meridioni, per Aprile? Uno esportabile e l’altro no? Uno trasferibile e l’altro inamovibile? E con quale criterio? E con quale gerarchia di importanza? Il meraviglioso «Trapezoforo» vale forse meno e non merita l’interesse di Aprile? C’è un Meridione di serie A e uno di serie B? Ogni altra considerazione, dalle spese per i trasporti alla commissione ministeriale, nominata da Franceschini per un parere tecnico (un cui membro, Bruno Zanardi, dopo il diniego «politico», scrisse il giorno dopo, sul «Corriere della Sera», che si potevano tranquillamente trasportare), è priva di argomenti sostanziali, e fondata soltanto su una retorica mozione degli affetti. Ciò che non si può accettare, nelle argomentazioni suggestive di Aprile, è la mancanza di valutazioni oggettive sulla presunta fragilità dei Bronzi di Riace. Nello stesso momento in cui se ne vietava l’esposizione a Milano, si apriva a Firenze, in palazzo Strozzi, la grandiosa mostra «Potere e Pathos», dove erano esposti circa cinquanta, non meno fragilissimi, bronzi, tra il V e il II secolo a.C., di ogni provenienza, anche meridionale, fra cui la «Testa di Apollo» (da Salerno), il «Pugile» (Palazzo Massimo a Roma) e il delicatissimo «Atleta» (da Brindisi), senza che nessuno, e tanto meno Aprile, battesse ciglio. Tutti bronzi importantissimi e fragilissimi. Soltanto meno famosi. Vuoi dirmi che non li presti perché li vuoi tenere a Reggio per l’Expo, in una ideale connessione che non c’è stata? Dillo. Ma non dirmi che sono fragili.
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