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Un abito di Worth & Bobergh. © Roger-Viollet

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Un abito di Worth & Bobergh. © Roger-Viollet

Immigrati di lusso

Massimiliano Capella

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Da Charles Frederick Worth ad Azzedine Alaïa, da Mariano Fortuny a Issey Miyake e Yohji Yamamoto, ma anche da Cristóbal Balenciaga a Raf Simons, è interessante ripercorrere la storia dei designer e dei direttori creativi delle maison francesi che vantano origini straniere e che, proprio per questo, hanno creato mix culturali che hanno segnato la storia dell’eleganza francese e internazionale. Olivier Saillard, direttore del Palais Galliera, il rinnovato Musée de la Mode de la Ville de Paris, con la mostra «Fashion Mix», aperta fino al 31 maggio al Musée de l’histoire de l’immigration, ha voluto celebrare la creatività russa, armena, italiana, spagnola, giapponese e belga che, insieme al know-how francese, ha saputo trasformare l’alta moda e il prêt-à-porter transalpini in ambiti di convivenza culturale, alternativi a una storia di immigrazione non sempre felice, ma che in questo caso ha trasformato nei decenni Parigi nella capitale internazionale del fashion e del lusso. Fin dalla metà del XIX secolo il concetto di know-how francese, o più comunemente di «made in France» ha attirato a Parigi i più rinomati creatori di eleganza, primo fra tutti l’inglese Charles Frederick Worth che già nel 1858 lanciò la sua casa di moda. Lungo il percorso della mostra si confrontano stili e tecniche sartoriali diverse, accomunati da un unico comun denominatore: la cultura e la vita parigina nel XIX e XX secolo che ha permesso ai fashion designer di confrontarsi con espressioni artistiche, teatrali e musicali contrapposte e di grande ispirazione per definire nuovi stili e linee sartoriali. Parigi diviene quindi il luogo creativo d’elezione anche per Mariano Fortuny e per le sue sperimentazioni con i tessuti, per Elsa Schiaparelli che trova nella Ville Lumière la sua principale fonte di ispirazione nell’arte surrealista, per Cristóbal Balenciaga e per tutta la scuola spagnola, ma anche per i designer russi in esilio dopo la Rivoluzione, come Kitmir e Irfé, o per rifugiati politici, come l’armeno Ara Frenkian. Negli anni Settanta e Ottanta inizia poi un nuovo ciclo di immigrazione creativa a Parigi, rappresentato dai fashion designer della scuola giapponese, da Kenzo a Issey Miyake, fino a Rei Kawakubo, Comme des Garçons, Yohji Yamamoto, Tokio Kumagaï e Junya Watanabe, seguito da una nuova rivoluzione stilistica dei designer belgi, olandesi, israeliani e indiani, tra i maggiori sperimentatori dei rapporti tra moda e arte in età contemporanea, come Martin Margiela, Ann Demeulemeester, Raf Simons e Dries Van Noten, e poi Azzedine Alaïa, l’austriaco Helmut Lang, Viktor & Rolf, Iris van Herpen e Manish Arora, ben rappresentati in mostra. Tutti eleggono Parigi a capitale delle loro case di moda, ribadendo il ruolo centrale della città nell’economia del fashion e nell’ispirazione creativa. I rapidi cambiamenti culturali e le maggiori contaminazioni dei linguaggi estetici degli ultimi decenni hanno però portato a una nuova tendenza, quella di nominare direttamente direttori creativi stranieri a capo di case di moda che rappresentano la storia dell’eleganza e del lusso francese. La mostra presenta quindi il lavoro di Karl Lagerfeld a capo di Chanel, di Marc Jacobs per Louis Vuitton, di Alexander McQueen e Riccardo Tisci per Givenchy, a ribadire che anche per i colossi del lusso francesi la globalizzazione va oltre i confini culturali di una visione nazionale e che rappresenta una grande possibilità per il rinnovamento dei linguaggi di una moda che, grazie a un mix di contaminazioni, può ancora ribadire che Parigi resta il palcoscenico privilegiato per chi vuole fare e lanciare nuove tendenze.

«Antonio Castillo chez Lanvin» di Seeberger Frères. cliché BHVP Parisienne de Photographie - Photo Seeberger Frères; © BnF

«Fragonard» di Vivienne Westwood. © Roger-Viollet

Un abito di Worth & Bobergh. © Roger-Viollet

«Multicolore» di Issey Miyake. © Roger-Viollet

Massimiliano Capella, 13 gennaio 2015 | © Riproduzione riservata

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