Un anno fa Robilant+Voena chiudeva la sua sede milanese in via Fontana, continuando a operare a Londra e a New York. Ora, dal 20 novembre, la galleria ritorna anche a Milano, in una nuova, grande e centralissima sede, in via della Spiga 1 all’angolo con corso Venezia: «è un luogo di gusto gozzaniano, ci dice Marco Voena, con camino, pavimenti dell’800 e soffitti a cassettoni alti quattro metri. Ma non è questa l’unica nostra novità del 2024: abbiamo infatti cambiato sede anche a New York, spostandoci da 980 Madison alla 66th Madison, mentre a Londra (dove il nostro fenomenale Michelangelo Pistoletto ha appena riscosso un successo incredibile) abbiamo modificato il display. Perché torniamo a Milano? Intanto, perché siamo italiani, poi perché si affacciano le seconde generazioni: i miei figli Edoardo e Virginia e il figlio di Edmondo di Robilant, Michele, entrano in galleria per portare le loro idee e le loro energie. Milano (città geograficamente centrale, dove in molti si stanno trasferendo dall’estero) sarà la nostra sede più legata al contemporaneo. All’antico dedicheremo una mostra all’anno e continueremo certamente anche con il moderno, ma qui punteremo soprattutto sulle novità».
Non a caso a inaugurare lo spazio è Jordan Watson (Jamaica, Queens, Ny, 1979), qui alla sua prima personale. «Octavia’s Butler» il titolo della mostra (dal 20 novembre al 17 gennaio 2025), in cui Watson celebra il potenziale della black community in campi spesso ancora poco esplorati, come gli sport invernali. E la sua prossima personale con R+V, a St. Moritz a febbraio, riguarderà proprio questo tema. Protagonisti dei suoi dipinti, realizzati con una cromia vivida e luminosa, sono persone (donne soprattutto) afrodiscendenti: ispirandosi ai modelli dell’Afrofuturismo, un movimento nato negli anni ’60 negli Stati Uniti, che immaginava un futuro di prosperità per la comunità di colore, Watson (autodidatta, che ha però frequentato lungamente il sistema dell’arte e si è fatto conoscere internazionalmente attraverso la piattaforma «Love Watts») presenta a Milano le sue giovani donne dai corpi vigorosi e armoniosi impegnate in sport come la Formula Uno, lo sci, il ciclismo, tutti contesti in cui raramente le si vede, come segno di un loro autentico, radicale riscatto. Il titolo è un omaggio alla famosa scrittrice di fantascienza Octavia E. Butler (1947-2006) perché, spiega l’artista, «proprio come nei suoi romanzi, ad esempio “Parable of the Sower” (La Parabola del Seminatore), nelle mie opere vorrei che l’occhio dello spettatore passasse da uno scenario di quiete e introspezione ad uno, improvviso, di impeto travolgente. Raffiguro spesso la ricchezza e il successo della black community, e così facendo mi sembra di tramutare in immagini il successo e la ricchezza che la stessa Butler merita».