Alessandro Allemandi
Leggi i suoi articoliSuor Giuliana Galli, classe 1935, prende i voti a 23 anni ma nella sua formazione spiccano anche la laurea in Sociologia e il master in Scienze del comportamento conseguiti negli Stati Uniti. Per quasi tre decenni è stata alla guida del corpo di volontari attivi nell’istituto di carità Piccola Casa della Divina Provvidenza di Torino, meglio conosciuto come Cottolengo. Nel 2001, con Francesca Vallarino Gancia, crea Mamre, onlus che si occupa di integrazione e che ha come obiettivo la realizzazione di progetti a favore di persone in stato di bisogno. Nel 2008 entra nel Consiglio di amministrazione della Compagnia di San Paolo e nel 2010 ne diventa vicepresidente. Persona combattiva e diretta, ha dichiarato che «in politica dovrebbero salire uomini e donne dignitosi e responsabili, amanti della cultura alta e popolare, del loro Paese, della sua storia, della sua gente»
Quali sono i primi ricordi dell’incontro con l’arte, la cultura, le manifestazioni della bellezza?
Il primo avvicinamento alla cultura è stato attraverso un libro. Avvenne molti anni fa a Meda, in provincia di Milano, dove sono nata. S’intitolava Fior da fiore, l’avevo lungamente corteggiato nella vetrina del libraio finché non avevo avuto i miei soldi per andare a comprarlo. L’amore per la lettura era iniziato tempo prima con una scoperta sui banchi di scuola, in prima elementare. L’insegnante mi aveva chiesto di leggere le lettere dell’alfabeto sul muro. Ricordo molto vivamente che, leggendo la sequenza a,b,c, avevo anche capito che b e a facevano ba, ovvero la possibilità di mettere insieme e dare senso a questi segni. Da lì è iniziata la scoperta della bellezza che può venir fuori dai segni, dai colori e dai movimenti. Mia madre era ricamatrice e la vedevo far nascere sulla stoffa delle cose molto belle e ricordo ancora la fotografia di un bellissimo prato di margherite nella rivista «Mani di fata». Mio padre faceva piccoli oggetti che nascevano da un pezzo di legno, alla stessa maniera con cui Michelangelo aveva svuotato la materia da un blocco di marmo. Ho la capacità di accogliere e rispondere emotivamente a ciò che è bello.
Lei ha dedicato la sua vita al Cottolengo. La bellezza della vita religiosa come si manifesta?
Si può parlare di una bellezza particolare, quella del gesto di tenerezza verso chi è più povero, verso chi non ce la fa da solo. Di creatività nella ricerca di quel piccolo elemento nell’umano che lo rende più umano perché meno dipendente dagli altri. È un altro modo di vedere la bellezza, ma lo sguardo sul bello è sempre stato là, in certe piccole cose che sono necessarie, perché non siamo come gli animali. Una tavola ben imbandita è qualcosa di più di un pezzo di pane buttato per terra, anche se entrambi sfamano. C’è un altro nutrimento di cui la persona ha bisogno: un vaso di fiori messo nelle corsie di un ospedale, perché ci sia qualcosa in più oltre al letto, il lenzuolo e il cibo, è un’espressione di bellezza. E la cura dell’umano deve essere trasferita al prodotto umano.
In Italia sappiamo prenderci cura del prodotto umano?
Le nostre città sono così belle, ricordano tantissime cose. Ogni parte dell’Italia ha paesaggi, monumenti, pitture diversi: che cosa siamo riusciti a fare in questo fazzoletto di terra e che cosa riusciamo a dilapidare! Valorizzare la creatività custodita nel Paese non vuol dire cristallizzarne la bellezza, significa farla muovere con un sistema di pensiero globalizzato, affinché chiunque venga da altrove sappia leggere e capire la profondità e la bellezza dell’Italia. Le stradine di Siena, la piazza di Orvieto o quelle di Todi erano salotti dove la gente poteva sedersi e contarsela per ore.
Il ’900 è stato drammatico per le città d’arte italiane.
Durante la prima e la seconda guerra mondiale, i demoni si sono scatenati su tutto, insieme all’umano sono stati distrutti i suoi prodotti. Lo sguardo di una Madonna del Rinascimento o la «Dama con l’ermellino», come d’altronde la musica, pacificano l’anima verso l’umano e ci fanno dire: «Com’è potuto accadere, dov’era Dio?». Il rimbalzo è: «Dov’era l’uomo in quel momento?». L’uomo vero con lo sguardo sul creato che gli è stato affidato e che deve custodire e migliorare.
Un proverbio africano dice che la Terra non l’abbiamo ereditata dai nostri padri, ma che essa ci è stata prestata dai nostri figli.
Dobbiamo aver cura e mantenere il patrimonio che abbiamo ricevuto, i prodotti della terra e quelli della mente umana, non per farne degli altari, ma come ricordo di tutti i passaggi dell’umanità, ciascuno dei quali ha amalgamato la realtà esterna e quella interna del pensiero, per farne una sintesi unica.
Senza passato non c’è futuro, eppure il presente sembra dimenticare la storia.
Il presente è pieno di contraddizioni. Al posto del pensiero che dovrebbe essere alla guida di una nazione, c’è l’arruffare delle idee, lo spogliamento della parola e dei suoi contenuti più veri. Ma non si deve pensare che sia tutto così: incontro diversi giovani che hanno il senso della direzione delle cose, e sanno attrarre gregari forti. L’arte, in tutte le sue espressioni, è il valore tangibile e reale dell’Italia, da investire in bellezza, ordine, offerta globale, per curare noi stessi. La globalizzazione dell’idea di bellezza italiana risiede nella cura dei suoi musei, strade, piazze, nel trasmutare in cultura vera l’armonia della bellezza partendo dall’essere umano. Per far ciò si richiede un ordine mentale, frutto di riflessione, di confronto, di studio, di contemplazione anch’esso bellezza, che auspico per i governanti e i dirigenti di qualsiasi tipo. Qualcuno che faccia riferimento alle fortissime figure della tradizione.
Pensa a qualcuno in particolare?
Le icone cattoliche e cristiane sono verissime e bellissime. A volte sembrano irraggiungibili, eppure sono lì, figure di donne e uomini che hanno saputo dare alla coscienza una formazione.
Come può essere data oggi questa educazione piena?
A volte incontro persone, anche illetterate, ma con un senso del bene e del male, del bello e del brutto, del vero e del falso, stupefacenti. Deve essere un dono di Dio e degli dei. La prima cosa è la famiglia, poi la scuola. Adesso il Governo ha tirato fuori la «buona scuola», senza rendersi conto che quanti più elementi si aggiungono, tanto più ci si allontana da ciò che è umano e ha già dentro di sé una forza vitale fortissima, a cui deve essere data la possibilità di metterla in atto. Bisogna fare come Michelangelo con il marmo, togliere gli eccessi per tirare fuori il meglio. Nelle scuole di oggi c’è uno straordinario mosaico di modelli umani, ogni bambino è portatore della sua cultura. Io non ho mai sentito parlare di Marocco o Iran nella mia scuola elementare, mentre oggi i bambini hanno la possibilità e la capacità di capire la globalizzazione.
Quali sono le opere d’arte e i luoghi d’Italia che ama di più?
Il primo è stato un piccolo affresco della scuola del Luini nella chiesa del mio paese, una Madonna dolcissima. Amo la resurrezione di Piero della Francesca a San Sepolcro: il Cristo in piedi sul sepolcro ha una forza incredibile. La Madonna di Filippo Lippi mi era piaciuta molto da adolescente, poi sono andata verso forme più matronali, le madonne potenti. Devo alle descrizioni di Ceronetti la scoperta della Crocifissione di Grünewald a Colmar e la Cattedrale di Strasburgo. A Torino amo un punto particolare sul lungo Po vicino alla Gran Madre, il Monte dei Cappuccini da una parte e la Basilica di Superga sullo sfondo. In Italia, amo camminare sui ponticelli di Venezia. Roma è sontuosa, ma non puoi prenderla tutta intera. Sono affascinata da Sansepolcro e le cittadelle come Pienza. I giardini quando sono tenuti bene. Recentemente ho visitato Trani e la cattedrale di San Nicola. L’Italia produce artisti ma anche uomini che compiono cose orrende. Camminiamo su un crinale, il demoniaco da una parte e l’angelico e divino dall’altra. La ricchezza del nostro Paese deve rimanere nei luoghi di appartenenza, chi vuole vedere i Bronzi di Riace vada in Calabria, troverà anche dell’altro: il loro ambiente, e un paese che potrà mettere in atto un’economia di accoglienza. Il mio sguardo sulle opere d’arte non è in ragione di tecniche, inventiva, creatività e innovazione, ma per come mi hanno illuminato, dando vita a riflessioni su particolari condizioni umane, esperienze di umanità o di singole persone. Opere dove ho visto la sofferenza psichica, l’incapacità a esprimere con le parole la disperazione interiore, così profondamente espressa dall’«Urlo» di Munch, o come la «Zattera della Medusa» di Géricault, perfetta metafora della deriva dell’umanità attraverso il secolo scorso e non ancora terminata. O come il gemellaggio della Pietà di Michelangelo con la preghiera di Dante «Vergine Madre, figlia del tuo figlio, umile e alta più che creatura, termine fisso d’etterno consiglio...». Quanto prodotto dagli artisti lo apprezzo come finestra sull’umano: uomo o donna, misterioso, drammatico, bello, buono, terribile frutto della Creazione.
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