Daniela Vartolo
Leggi i suoi articoli«Da anni la Galleria dello Scudo si interessa all’opera di Antonio Sanfilippo, proseguendo così l’indagine sui protagonisti dell’astrattismo italiano nell’immediato dopoguerra. Così ho ritenuto importante organizzare una mostra incentrata sulla stagione più significativa del suo percorso creativo, focalizzando l’attenzione sugli anni Cinquanta, quando l’artista vive appieno il fermento culturale e artistico di Roma, ponendo inoltre in evidenza alcuni aspetti sino a oggi inediti della sua vicenda biografica».
Così il direttore Massimo Di Carlo motiva la genesi della mostra «Antonio Sanfilippo. Segno e immagine. Dipinti 1951-1960» curata da Fabrizio D’Amico e Francesco Tedeschi, in collaborazione con l’Archivio Accardi Sanfilippo, aperta presso la Galleria dello Scudo dal 12 dicembre al 31 marzo.
Il percorso, che comprende trentasei opere divise in tre sezioni, si apre con tre lavori del 1951 che testimoniano il graduale allontanamento dal linguaggio neocubista verso un’astrazione più radicale («Azzurro», 1951).
Una volta liberatosi dalla rigidità delle forme geometriche, e dopo aver rielaborato elementi dell’opera matura di Kandinskij e Hartung, Sanfilippo (Partanna, 1923-Roma, 1980) si rivolge a una gestualità più forte («Senza titolo», 1953) che lo caratterizza in modo estremamente originale.
La seconda sezione è aperta da «Animale immaginario» (1955) che fa da tramite fra le fitte tessiture dei lavori del ’54 e il segno più marcato delle opere del ’56-57, e risulta quasi essere una prima elaborazione di quelle «galassie» sospese nello spazio che caratterizzeranno i suoi quadri successivi («Rete complicata», 1957), lontani dagli elementi distintivi di Capogrossi e della Accardi. Opere che, con la loro gamma cromatica semplificata, cattureranno l’interesse e il sostegno di Michel Tapié, teorico dell’«art autre», ovvero delle diverse declinazioni dell’arte informale, che nel 1956 lo inviterà a esporre ad Osaka accanto a Pollock, Kline, De Kooning e ai giapponesi del gruppo Gutaï.
Il percorso espositivo si chiude con l’ultima fase del decennio, quando la composizione si organizza prevalentemente lungo l’asse verticale della tela («Senza titolo», 1957), in cui negli spazi vuoti emergono esplosioni di luce.
Attorno agli anni 1959-60 il colore ritorna dominante, denso e oscuro, avvicinandosi all’informale italiano con un segno allungato e filante che si avvolge in un’intricata matassa («Metamorfosi», 1960) e che poi si scinderà in due corpi distinti, come testimoniano gli ultimi lavori in mostra.
Il catalogo, edito da Skira, contiene una dettagliata biografia scritta da Paola Bonani in collaborazione con Laura Lorenzoni corredata da un ampio apparato documentario in parte inedito e un saggio di Marco Vallora sull’analisi delle influenze esercitate dal giapponismo sul gesto di Sanfilippo.
In chiusura del volume, un’ampia sezione di apparati e il repertorio delle personali dell’artista tra il 1950 e il 1961 a cura di Elena Dalla Costa, oltre a un’antologia di lettere, recensioni e scritti che documentano i rapporti con personalità ed eventi di quel decennio.
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