Sarà aperta fino al 29 ottobre da Barbati Gallery, nello storico palazzo Lezze in Campo Santo Stefano a Venezia, «Best Reply», la prima personale in Italia dell’artista californiano Buck Ellison (1987, San Francisco, vive e lavora a Los Angeles). Dieci nuove fotografie affiancano quelle del 2018 per raccontare un’apparente semplice storia tra fratelli, in una baita di montagna, tra giochi, palle di neve e puzzle. Lo abbiamo intervistato per farci raccontare di più del suo percorso e della mostra.
Lei è laureato in letteratura tedesca. Come e quando ha iniziato a interessarsi alla fotografia e qual è stato il suo percorso formativo?
Ho iniziato a smanettare con la macchina fotografica a 15 anni; da allora, spero di aver affinato un po’ le mie capacità. Studiare letteratura mi ha insegnato a fare ricerca e a costruire argomentazioni, abilità che risultano basilari per il mio lavoro.
Le sue opere sono caratterizzate da una forte attenzione ai dettagli e alle sfumature emotive, che si traducono in un’intensa rappresentazione della realtà in cui qualcosa, tuttavia, non quadra. Da dove nasce la sua passione per queste storie?
Il tedesco ha influenzato profondamente la mia pratica. Mi ha insegnato che i libri e le opere d’arte non sono qui per fornire risposte, ma piuttosto per porre delle domande. Una grammatica rigida fa da griglia alla lingua, costruendo una struttura che può supportare livelli straordinari di umorismo, sottigliezza e sfumature. Mi sforzo di raggiungere questo obiettivo nel mio lavoro.
Può parlarci di come ha tradotto in fotografia il problema logico «The Muddy Children Puzzle»?
Nella teoria economica dei giochi, «The Muddy Children Puzzle» dimostra che tutti i membri di un gruppo possono sapere che qualcosa è vero senza che tale affermazione sia di dominio comune. Gli studiosi utilizzano l’immagine di bambini con la fronte sporca di fango per illustrare questo fenomeno. Il fango sulla fronte mi ha ricordato «Salad Bowl», un gioco di società in cui i giocatori hanno dei post-it con personaggi famosi scritti sulla fronte. I compagni di squadra cercano di farvi indovinare chi siete, ma hanno il divieto di dire certe parole che sarebbero troppo rivelatrici. Questo divieto, e l’idea che tutti i membri possano conoscere un fatto senza che sia di dominio pubblico, racchiudono perfettamente tutto ciò che volevo esplorare sui gruppi, sul silenzio e sul linguaggio.
Si pone dei limiti nel suo lavoro?
Sì. L’ho imparato dal mio professore, Willem de Rooij. Se mi sento troppo a mio agio nel fare un certo tipo di fotografia, mi sfido a passare oltre.
Dà molte indicazioni al soggetto delle sue foto o lascia che sia lui a improvvisare?
L’improvvisazione è fondamentale. È emozionante passare mesi (o anni) a cercare gli oggetti di scena o a esplorare i luoghi, e poi lasciare che gli altri giochino in questo recinto di sabbia. Sono grato ai modelli e agli attori che entrano con me negli spazi scomodi del mio lavoro, ci vuole coraggio. Tuttavia, chiedo ai modelli di interagire con gli oggetti di scena. Lo scorso anno ero ad una festa e ho osservato un uomo con il braccio piegato dietro di sé e un dito infilato nel ghiaccio del suo bicchiere. Ci penso spesso, a questo gesto di intorpidimento. Per «The Muddy Children Puzzle» avrei voluto usare questo dettaglio e avrei desiderato inserire un dito in un bicchiere da cocktail, ma alla fine ho dovuto sacrificare questo dettaglio che mi piaceva molto per scegliere, durante la fase di editing, la foto migliore.
Come utilizza il video nel suo lavoro?
Il punto di partenza di molti lavori sono gli scambi o i gesti osservati nella vita, ma quelli che avvengono in modo così rapido o sottile che la messa in scena rimane l’unico modo per fissarli. Le fotografie mute possono solo arrivare a trascrivere queste interazioni.
Le piace il cinema? Ha un film preferito?
Sì, certo. Amo i film di Robert Bresson. Ultimamente ho pensato molto a «Traffic» (2000) di Steven Soderbergh.
Quali sono i suoi progetti futuri? Ci sono nuovi temi o argomenti che vorrebbe esplorare attraverso la sua fotografia?
Sto realizzando una monografia con Idea Books a Londra, che uscirà la prossima primavera. Sto anche lavorando a un altro libro d’artista, sulla falsariga del libro «Best Reply» prodotto per questa mostra.