«Boîte-en-valise» («Scatola in una valigia») (1935-41), da o di Marcel Duchamp o Rrose Sélavy, edizione deluxe: I/XX. Venezia, Collezione Peggy Guggenheim (Solomon R. Guggenheim Foundation, New York). © Association Marcel Duchamp, by SIAE 2023

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«Boîte-en-valise» («Scatola in una valigia») (1935-41), da o di Marcel Duchamp o Rrose Sélavy, edizione deluxe: I/XX. Venezia, Collezione Peggy Guggenheim (Solomon R. Guggenheim Foundation, New York). © Association Marcel Duchamp, by SIAE 2023

Duchamp e la seduzione della copia

Alla Collezione Peggy Guggenheim sessanta opere dal 1911 al 1968, con prestiti da istituzioni italiane e statunitensi, da collezioni private e dal patrimonio dell’artista

«Dichiarando di essere “sempre stato disturbato dall’unicità espressa dall’opera d’arte”, nel 1967 Duchamp sostiene che “Cercar di distinguere il vero dal falso, l’imitazione dalla copia, è poi una questione tecnica di incredibile stupidità”. E a meno di due mesi dalla morte ribadisce: “[La gente] dice che una cosa fatta a macchina non è un’opera d’arte. È ridicolo. Un duplicato o una ripetizione meccanica hanno lo stesso valore dell’originale”». Sono alcune delle citazioni contenute nel saggio introduttivo alla mostra «Marcel Duchamp e la seduzione della copia», in programma fino al 18 marzo alla Collezione Peggy Guggenheim di Venezia.

A firmare quel saggio e altri all’interno del voluminoso catalogo Marsilio è il curatore della mostra Paul B. Franklin, studioso indipendente tra i maggiori esperti di Marcel Duchamp (1887-1968). Si compone di una sessantina di opere, coprendo un arco temporale che va dal 1911 al 1968, questo omaggio all’artista irriverente, rivoluzionario e anticonvenzionale ospitato proprio nella casa della mecenate americana che a Duchamp fu legata da un profondo rapporto di amicizia: conosciuto a Parigi nel 1923, dal 1937 l’artista divenne tra i suoi consiglieri più fidati per la fondazione della sua galleria e la costituzione della sua collezione, mentre al 1941 risale l’acquisto da parte di Peggy Guggenheim del primo esemplare dell’edizione deluxe della «Scatola in una valigia». Opera che non poteva mancare quindi in questa mostra, così come le altre provenienti dalla sua collezione, «Nudo (schizzo)» e «Giovane triste in treno» (1911).

Ma accanto ai prestiti da altre istituzioni museali italiane e statunitensi, con la Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma, il Philadelphia Museum of Art, il Museum of Modern Art e il Solomon R. Guggenheim Museum di New York, la mostra riserva sorprese con opere meno note che provengono dal patrimonio dell’artista e da collezioni private, e soprattutto un grande nucleo, che da solo rappresenta la metà della mostra, proviene da un’importante collezione veneziana, quella di Attilio Codognato. Ed è la prima volta che un corpus così ampio delle sue opere viene esposto in un’unica mostra.

Risale ai primi anni ’70 la nascita della passione di Codognato, oggi ultraottantenne, per l’artista francese: l’amore è scattato con «L.H.O.O.Q.», con la Gioconda irriverentemente dotata di un paio di baffi piazzati sul suo famoso sorriso, la prima sua opera acquistata. «In un percorso insolitamente inverso ho iniziato a collezionare Duchamp, dopo aver collezionato per molti anni artisti come Rauschenberg e Nauman che hanno, in maniera diversa, guardato a Duchamp, racconta Codognato. Negli anni Settanta grazie a Warhol ho anche conosciuto Man Ray, che è stata forse una delle persone più vicine a Duchamp durante tutto il suo percorso. È sicuramente uno degli artisti più importanti del secolo scorso: il suo lavoro e il suo atteggiamento verso l’arte e la vita hanno influenzato generazioni di artisti e continuano a essere cruciali anche per le nuove. Infatti, come dicevo, Duchamp mi ha aiutato a interpretare anche l’arte del presente in tutte le sue sfaccettature e contraddizioni. Negli anni ho collezionato non solo opere, ma anche materiale epistolare e documenti legati all’artista, oltre a fotografie di Man Ray e Raoul Ubac connesse a opere di Duchamp».

A ispirare in qualche modo Attilio Codognato è stato l’esempio di Arturo Schwarz, «il più grande estimatore e collezionista di Duchamp, forse il più grande studioso di questo straordinario artista, considera il collezionista veneziano. Molte opere della sua raccolta sono oggi alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna a Roma». E pari stima Codognato riserva al curatore di questa mostra, Paul B. Franklin, «altro grande studioso di Duchamp», aggiunge il collezionista che ha accettato senza esitazione di mettere a disposizione le sue opere per questa mostra, confidando che il curatore «avrebbe sicuramente trovato un taglio originale per un’opera come quella di Duchamp che riserva un’interpretazione sempre in fieri. Così che è difficile per me identificare un’opera preferita tra quello che ho acquisito: ogni volta scopro qualcosa di nuovo in ciascuna, quindi l’opera per me più significativa cambia di continuo».

Il taglio scelto dal curatore per raccontare l’artista che mandò all’aria l’idea fino a quel momento condivisa sull’arte, è quello quindi che ruota attorno allo smantellamento operato da Duchamp della gerarchia tra originale e copia, sviluppato in sezioni correlate tra loro: «Origini, originali e somiglianze familiari», «Il passato è prologo», «La magia dei facsimili», «Copie autentiche», «Disciplinare e incoraggiare la mano», «Clonare se stesso, vestire l’altro», «Ripetizione ipnotica», «Temi e variazioni». La mostra «esplora gli approcci sfaccettati che Duchamp ha adottato per duplicare il suo lavoro senza scadere nella mera copia, a partire dalla convinzione di Duchamp che le riproduzioni e le opere uniche abbiano la stessa importanza estetica», spiega il curatore, felice di aver potuto per la prima volta unire i due principali archivi veneziani del lavoro di Duchamp.

«Senza la sua curiosità radicale e il suo approccio innovativo alla creazione artistica, la maggior parte dell’arte contemporanea non esisterebbe, conclude, spiegando l’importanza, ancora oggi, della sua opera per comprendere la contemporaneità. Duchamp ha aperto una porta nella storia dell’arte che ha permesso a tanti artisti più giovani di prosperare, tra i quali Andy Warhol, Robert Rauschenberg, Jasper Johns, Elaine Sturtevant, Yoko Ono, Hannah Wilke, Gianfranco Baruchello, Jeff Koons, Maurizio Cattelan, Sherry Levine, e l’elenco potrebbe continuare. Duchamp non solo ha ridefinito ciò che costituisce un’opera d’arte, ma ha offerto un modello per le generazioni successive su come esistere nel mondo. Come affermò il compositore americano e ardente sostenitore di Duchamp John Cage: «Non posso stare senza Duchamp! Credo letteralmente che Duchamp ci abbia reso possibile vivere come viviamo».

«Boîte-en-valise» («Scatola in una valigia») (1935-41), da o di Marcel Duchamp o Rrose Sélavy, edizione deluxe: I/XX. Venezia, Collezione Peggy Guggenheim (Solomon R. Guggenheim Foundation, New York). © Association Marcel Duchamp, by SIAE 2023

Marcel Duchamp con l’esemplare non ancora completato di «Boîte-en-valise» («Scatola in una valigia», 1935-41) in casa di Peggy Guggenheim, 440 East Fifty-first Street, New York, agosto 1942. La fotografia è in origine pubblicata in «Time», 7 settembre 1942

Camilla Bertoni, 18 ottobre 2023 | © Riproduzione riservata

Duchamp e la seduzione della copia | Camilla Bertoni

Duchamp e la seduzione della copia | Camilla Bertoni