Federico Castelli Gattinara
Leggi i suoi articoliLa curatela del sovrintendente Claudio Parisi Presicce è sempre sinonimo di qualità nelle mostre archeologiche proposte dai Musei Capitolini, sia sotto l’aspetto scientifico che per la scelta dei pezzi e dei prestiti ottenuti. Non fa eccezione la monografica dedicata a Fidia inaugurata ieri e aperta fino al 5 maggio 2024 a Villa Caffarelli, la prima di una rassegna in cinque tappe tutta dedicata ai grandi scultori dell’antica Grecia, con altre due monografiche riservate a Prassitele e a Skopas.
Fidia fu il più grande scultore dell’età classica, somma espressione dell’Atene di Pericle, colui a cui il grande politico affidò alla metà del V secolo a.C. il rinnovamento totale e monumentale dell’Acropoli a partire dalla ricostruzione del Partenone, un’impresa davvero colossale. L’esposizione tenta per la prima volta in assoluto di ricostruirne la figura «enigmatica, quasi fantasmatica» come sottolinea Presicce, attraverso oltre 100 opere, alcune mai uscite prima dalla Grecia, tra reperti archeologici, dipinti, manoscritti, disegni, modelli e installazioni multimediali.
«Nessuno supererà mai Fidia» scrisse Rodin nel suo «L’art» uscito per Grasset nel 1911, ed è proprio con la sua «Pallas au Parthénon» del 1896 in marmo e gesso che si apre la mostra, una testa femminile sormontata da una sorta di piccolo Partenone. Mostra che parte dall’eredità del periodo severo, essendosi Fidia formato alla scuola attica del maestro ateniese Hegias. Con subito un bell’affondo sull’Apollo tipo Kassel, che dello stile severo conserva, tra l’altro, la frontalità ancora un po’ rigida, probabilmente il Parnòpios, il signore delle cavallette, la cui statua Pausania ci ricorda sull’Acropoli di Atene, omaggio al dio che aveva liberato la città dall’invasione di quei terribili insetti. La prima sala infatti raccoglie le tre teste del Museo Barracco, la Centrale Montemartini e Palazzo Vecchio a Firenze, e la figura intera dei Capitolini già in collezione Albani. Ovviamente tutte repliche d’epoca romana.
Seguono le grandi imprese a tutti note, i colossi crisoelefantini dell’Atena Parthenos e dello Zeus di Olimpia, l’Atena Pròmachos tutta in bronzo alta tra i 7 e i 10 metri che dominava il pianoro dell’Acropoli e doveva incutere rispetto e timore ai naviganti che si accostavano, la titanica impresa della decorazione del Partenone: 92 metope scolpite, oltre 40 statue per i frontoni, 160 metri di rilievo attorno alla cella, e così via. Tra i pezzi in mostra di maggior pregio quattro frammenti originali del fregio del Partenone arrivati dal Museo dell’Acropoli e dal Kunsthistorisches Museum di Vienna, il cosiddetto scudo Strangford del British Museum, replica romana in marmo dello scudo dell’Atena Parthenos, il Codice Hamilton 254 da Berlino, manoscritto quattrocentesco contenente la prima immagine del Partenone arrivata in Europa, il cosiddetto taccuino Carrey (1674) della Bibliothèque Nationale de France con la decorazione del Partenone prima dell’esplosione che lo distrusse nel 1687 e la bellissima testa in marmo dell’Atena Lemnia di età augustea del Museo Civico Archeologico di Bologna.
Molto ben fatte anche le sezioni dedicate a Fidia fuori di Atene, con affondi specifici, quello già citato sullo Zeus di Olimpia e il concorso di Efeso intorno al 440 a.C. per una statua di Amazzone ferita (in cui Fidia venne sconfitto), e Fidia oltre la fine del mondo antico, con i due calchi in gesso delle teste dei Dioscuri del Quirinale realizzati a Roma negli anni Venti dell’Ottocento e conservati all’Accademia di Ravenna (i Dioscuri erano considerati uno opus Phidiae e l’altro opus Praxitelils), focus su Canova e Thorvaldsen, le influenze delle cavalcate panatenaiche fino a Cambellotti. Catalogo edito da L’Erma di Bretschneider.
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