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200 milioni per un ricco futuro

Jori Finkel

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All’inizio dell’anno la data di apertura del nuovo museo di arte contemporanea nel centro di Los Angeles fondato da Eli Broad e dalla moglie Edythe è stata spostata più avanti nel 2015 per ritardi nel completamento dell’edificio. Ma il collezionista non è restato con le mani in mano e ha impiegato il tempo a disposizione per acquistare altre opere, mettere a punto la programmazione e perfezionare la sua visione del museo. Broad parla del nuovo museo come di «una delle più grandi meraviglie architettoniche del mondo» e spiega che la realizzazione dell’armatura in acciaio del cosiddetto «velo», che avvolge l’edificio di Dillers Scofidio + Renfro, è stata un’impresa complessa. Le prime mostre si baseranno tutte sulla collezione del museo. La collezione Broad è cresciuta significativamente durante la direzione di Joanne Heyler: «Ci siamo mossi più rapidamente di molti musei, spiega la direttrice. La collezione del museo si è ampliata per includere opere più grandi e più accessibili». «Vogliamo che i visitatori sperimentino l’arte in modo diverso e non si limitino a guardare quadri e statue», aggiunge Broad. Un’acquisizione di spicco è «Infinity Mirrored Room» di Yayoi Kusama, un’installazione che ha attirato moltissime persone quando è stata esposta lo scorso autunno a New York dalla galleria David Zwirner e che necessita di una sala a sé. Tra le altre acquisizioni recenti, il video «The Visitors» (2012) di Ragnar Kjartansson, la grande tela (più di 7 metri) di Julie Mehretu «Beloved (Cairo)» (2013), ispirata alla Primavera Araba e all’architettura di piazza Tahrir, e il foto-arazzo «Death of Marxism, Women of All Lands Unite» (2013) di Goshka Macuga. Il fatto che siano tutte artiste donne non è un caso. «Abbiamo il 56% di artiste in più rispetto al 1995», dichiara Heyler. Alla domanda se questo cambio di direzione sia stato il frutto delle critiche sul carattere bianco e maschilista della collezione durante le settimane di apertura al Broad County Museum of Art (l’edificio di Renzo Piano voluto da Broad al Los Angeles County Museum of Art prima di lasciare il cda di quel museo), Heyler replica: «Certamente hanno attirato la nostra attenzione, ma non era la prima volta che pensavamo di aggiungere donne alla nostra collezione». Alla stessa domanda Broad risponde con tono diverso: «No, non è una reazione alle critiche. Non è voluto. Abbiamo comprato Julie Mehretu perché la sua opera era interessante. Non abbiamo una formula che ci dice quante artiste donna dobbiamo esporre». Il museo ha un approccio poco ortodosso anche nella politica di assunzione. Confrontato con la maggior parte degli altri musei che hanno collezioni di pari entità, il suo staff è risicato. Attualmente conta 13 dipendenti, che dovrebbero arrivare a 25, come conferma Heyler. È naturale che Broad, il cui patrimonio è stimato dalla rivista «Forbes» in 6,9 miliardi di dollari, non abbia bisogno di un «development team». Ha dichiarato di poter fare a meno anche di un dipartimento didattico autonomo o di settori curatoriali altamente specializzati. Ciò che risulta chiaro è che i programmi delle mostre hanno la priorità. Il museo ha assunto Ed Patuto, che gestiva uno spazio di Performing art a Brooklyn, per occuparsi del coinvolgimento del pubblico. Patuto ha già organizzato conferenze pubbliche in altre sedi della città. «Normalmente i musei che tengono un programma di conferenze sull’arte sono fortunati se arrivano a 200 spettatori», afferma Broad, ricordando che, al contrario, una conferenza organizzata dal Broad Museum cui hanno partecipato John Waters e Jeff Koons è stata seguita da 1.900 persone. Il museo vuole essere un’istituzione che ha a cuore il bene pubblico: si spiega così la decisione di non far pagare il biglietto d’ingresso e di cercare partnership con altre istituzioni della città. Broad afferma di avere trattative in corso non solo con il Museum of Contemporary Art di Los Angeles, di cui è un founding trustee, ma anche con gruppi di Performing art come il LA Opera e la Los Angeles Philarmonica (il collezionista è stato determinante nella realizzazione della Disney Hall, sede della LA Phil, e il suo direttore Deborah Borda siede nel cda dei consulenti del Broad).

Quanto in là nel tempo si spingono i programmi di Broad? «Per ora abbiamo programmato solo i prossimi tre anni, spiega il collezionista. Ma abbiamo le risorse per proseguire». Lo scorso anno un comunicato stampa ha parlato di 200 milioni di dollari (circa 179 milioni di euro) per la dotazione economica del museo, ma Broad dice che potrebbe essere più alta. «Si tratta di diverse centinaia di milioni di dollari. Sarà la più importante di tutti i musei di Los Angeles, a parte il Getty». Il miliardario, famoso per il suo amore della competizione, non riesce a resistere e fa alcuni nomi: «Il fondo sarà più alto di quello del Lacma (circa 115 milioni di euro, Ndr) o del MoCA (circa 96 milioni di euro, Ndr). A differenza di altri musei, vogliamo essere sicuri che tra dieci anni non manchino le risorse». 

Jori Finkel, 17 settembre 2015 | © Riproduzione riservata

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