Elisabetta Matteucci
Leggi i suoi articoliLa passione per l’Ottocento ci conduce questo mese a Carpi, nel cuore dell’Emilia, terra di ricchezze naturali, artistiche ed enogastronomiche. In prossimità della cinquecentesca piazza dei Martiri, si erge Palazzo Foresti, monumentale edificio dalla facciata neorinascimentale progettato nel 1892 dall’architetto Achille Sammarini per Pietro Foresti (1854-1926), industriale del truciolo e collezionista d’arte. Risalgono agli anni seguenti la costruzione in mattoni del prospetto su via San Francesco e il completamento degli apparati ornamentali costituiti da inserti marmorei e da formelle in terracotta. L’esterno è decorato da affreschi realizzati dal carpigiano Lelio Rossi, mentre le sale in stile liberty, ospitanti lo studio di rappresentanza, il salotto rosa e il piccolo ninfeo, da Andrea Becchi, autore del sipario del Teatro cittadino, da Carlo Grossi e Fermo Forti.
Sodale di Corrado Ricci e in contatto con Adolfo Venturi, Foresti collocò nel palazzo l’eterogenea raccolta costituita da sculture, smalti, ventagli, monete, armature, mobili, porcellane, tappeti, dipinti antichi e moderni. Successivamente alla donazione nel 1910 alla Galleria Estense di Modena di una terracotta policroma di Antonio Begarelli, l’amatore destinò, come da atto notarile, metà della collezione alla città di Carpi da cui ebbe origine nel giugno 1914 il museo civico allestito nel Castello dei Pio. Nei primi anni Sessanta il palazzo fu acquistato da Umberto Severi, industriale tessile, che lo adibì oltre che a campionario della sua azienda di maglieria, a deposito della collezione di sculture. L’attuale proprietario, Alberto Marri, ci guida nel Palazzo, oggi al centro di molti progetti.
Dopo avere superato vicissitudini familiari, bombardamenti, nonché scosse di terremoto, grazie al suo acquisto nel 2004, Palazzo Foresti è tornato a nuova vita riappropriandosi dopo tanti anni della vocazione originaria: contenere opere d’arte. In che modo si è sentito coinvolto in questa tradizione collezionistica assumendosi l’impegno morale di continuare ad alimentarla?
Fu una fortuita coincidenza. Ebbi notizia che il Palazzo era in vendita da un amico architetto, conoscente dei precedenti proprietari, la famiglia Severi. Da tempo ammiravo Palazzo Foresti e il fatto che non fosse intestato a Umberto Severi, caduto in procedure giudiziarie per un tracollo finanziario, e dunque, libero da problematiche e procedure particolari, mi indusse a intravedervi la possibilità di farne il centro delle mie attività professionali. L’amore per l’arte e la passione collezionistica sono venuti di conseguenza.
Appena varcato l’ingresso, si avverte la sensazione che quanto qui realizzato sia il risultato dell’amore nutrito per l’arte, per la città di Carpi e il suo territorio. Una centralità topografica che le ha permesso di unire le esigenze dell’amatore alle istanze affettive.
Credo che la volontà nasca sempre da un desiderio e, nel mio caso, l’acquisto è stato originato da quello di preservare e ridare vita nella mia città a un immobile di rilevanza storica, artistica e architettonica. Mio zio, Guido Gradellini, sosteneva che gli immobili rispecchiano lo spirito di chi li abita e Palazzo Foresti si è rivelata la sede ideale per accogliere i dipinti e gli arredi lasciatimi proprio da mio zio, amante dell’antiquariato, promotore del recupero del cinquecentesco Palazzo Trecchi a Cremona e del Galileo Galilei davanti al tribunale dell’Inquisizione di Cristiano Banti.
Nella fuga di saloni al piano nobile è allestita una straordinaria pinacoteca che dal primo nucleo di area emiliana, rilevato da Guido Gradellini, spazia ai Macchiaioli, ai maestri della Scuola veneta sino a giungere ai protagonisti del secondo Ottocento italiano.
Sempre a mio zio devo l’avvicinamento alla pittura dell’Ottocento che credo rispecchi le nostre radici, il lavoro contadino e quei costumi di vita che, mantenutisi sino agli anni Cinquanta, fanno parte dei miei ricordi d’infanzia.
Tra i dipinti di maggior pregio si segnalano «Tiziano e Irene di Spilimbergo» di Silvestro Lega, o le «Istitutrici dei Campi Elisi» di Vittorio Corcos, ma altrettanto degno di nota è il nucleo delle undici tele di Giovanni Muzzioli, pittore amato e sostenuto dall’industriale Foresti, che lei è riuscito a rintracciare e a riportare a casa. C’è una linea predominante che accomuna la raccolta? Emerge, infatti, una predilezione per la pittura di figura declinata in ritratti e scene di genere, in netta predominanza rispetto alle vedute paesaggistiche.
Al principio ho inteso privilegiare la raccolta di pittori emiliani anche per vicinanza culturale, successivamente, attraverso Giovanni Muzzioli, ho scoperto e amato i Macchiaioli. Ciò grazie alla loro capacità di rappresentare in modo realistico i luoghi del contado e la vita della società pre e post unitaria. L’interesse si è poi esteso ai protagonisti della scuola veneziana e, in tempi recenti, anche a quelli d’area napoletana per un desiderio di riuscire a documentare l’Ottocento nelle diverse espressioni regionali.
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