Julia Halperin
Leggi i suoi articoliNel 2014 i collezionisti hanno promesso di donare a musei statunitensi opere per più di un miliardo di dollari. Ma molte delle donazioni più generose prevedevano delle clausole piuttosto rigide, che hanno sollevato la questione dell’ingerenza dei privati sulle istituzioni pubbliche. Mentre i prezzi dell’arte contemporanea schizzano alle stelle, «l’influenza dei collezionisti è cambiata radicalmente», dichiara Christopher Bedford, direttore del Rose Art Museum alla Brandeis University del Massachusetts. Il produttore di materiali plastici Stefan Edlis e la moglie Gael Neeson lo scorso aprile hanno donato 42 opere di Pop art e contemporanee all’Art Institute of Chicago. Stimata in 500 milioni di dollari, si è trattata della donazione più importante nella storia del museo. La collezione era ambita da musei in tutto il mondo, ma la coppia, che vive a Chicago, ha scelto l’Art Institute, che ha accettato di esporla al pubblico per 50 anni. Le opere, che saranno mostrate a gennaio 20016, verranno esposte insieme per 25 anni, dopodiché potranno essere diversamente integrate nel resto della collezione.
Gap contemporaneo
La collezione degli scomparsi Donald Fisher e della moglie Doris, cofondatori del marchio di abbigliamento Gap, verrà prestata dalla loro famiglia al San Francisco Museum of Modern Art per i prossimi 100 anni, a condizioni analoghe. Il museo presenterà una allestimento ad hoc della collezione Fisher, ricca di più di 1.100 opere del dopoguerra e contemporanee, dopo la sua riapertura al pubblico nella primavera 2016. Dopo un anno i curatori potranno introdurre altre opere ma la collezione dovrà comunque costituire almeno il 75% del totale. Questo tipo di accordi non è nuovo. Da sempre i collezionisti vogliono assicurarsi che le loro opere non finiscano in magazzino. Nel 1954, Walter e Louise Arensberg donarono la loro collezione di arte precolombiana e moderna al Philadelphia Museum of Art a patto che una consistente parte di essa rimanesse esposta insieme per almeno 25 anni. Il Los Angeles County Museum of Art (Lacma), insieme ad altri, perse l’occasione perché rifiutò di accettare questi termini. Nel 1969, Robert Lehman lasciò in eredità 2.600 opere al Metropolitan Museum di New York, dietro garanzia che sarebbero sempre state esposte insieme. La sua collezione di arte occidentale è ancora oggi collocata in un’ala apposita.
Chi dona e chi riceve
I musei statunitensi hanno sempre fatto molto affidamento sui donatori privati, ma non accettano di buon grado condizioni che potrebbero rivelarsi onerose. Robert Storr, ex senior curator al MoMA di New York e curatore della Biennale di Venzia nel 2007, nel 2013 scrisse in un saggio: «Il mercato è di chi dona più che di chi riceve, anche se i destinatari cercano sempre nuovi incentivi per invogliare i donatori». Un allestimento statico «priva i curatori dell’opportunità di ripensare la collocazione di opere specifiche» e «minaccia di condannare il donatore a scelte datate». Le opere di Lehman al Met, ha aggiunto in un’intervista, «sarebbero presentate meglio se contestualizzate accanto ad altre della collezione». Non tutte le clausole riguardano la presentazione. Nel 2014 Jerry Perenchio, presidente di Univision Communications, ha promesso più di 45 opere dal XIX al XX secolo al Lacma. La donazione, valutata intorno ai 500 milioni di dollari, sarà effettiva dopo la sua morte ed è subordinata al completamento dell’espansione da 600 milioni di dollari del museo. Perenchio ha dichiarato la speranza che la sua decisione «garantirà che l’edificio dell’architetto Peter Zumthor sia ultimato in tempo».
Donazioni senza condizioni
La maggior parte dei musei accetta le donazioni «condizionate» anche se l’Association of Art Museum Directors raccomanda che dovrebbero averne il meno possibile. Fa eccezione il MoMA, che non le accetta se sottoposte a vincoli. Sally Yerkovich, direttore dell’Institute of Museum Ethics alla Seton Hall University del New Jersey, spiega che le restrizioni imposte dai donatori pongono questioni etiche quando violano «l’integrità e l’indipendenza scientifica del museo».
Molti donatori dichiarano che «gli oggetti d’arte hanno una vita propria, indipendente dai loro proprietari», afferma Sharon Corwin, direttrice del Colby Vollege Musuem of Art del Maine. Paula e Peter Lunder nel 2007 hanno donato 500 opere di arte americana al Colby a condizione che il museo ampliasse il proprio spazio espositivo di circa mille mq, ma non è stato posto alcun vincolo sull’allestimento della collezione.
Christopher Bedford, supervisore della donazione, senza vincoli, di 40 opere da Peter Norton al Rose Museum lo scorso marzo, spiega che il museo deve valutare «il rapporto tra impatto e opportunità in termini di ciò che sei favorevole ad assorbire». Per l’Art Institute di Chicago, «l’impegno a esporre la collezione Edlis-Neeson per 50 anni non è un peso», dichiara James Rondeau, curatore di Arte contemporanea del museo. «Abbiamo fatto questa scelta proprio perché sono opere che volevamo e crediamo che i futuri gestori della collezione saranno dello stesso avviso».
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