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Gian Paolo Barbieri, Milano 1998.

© Max Martino, Cortesia Fondazione Gian Paolo Barbieri

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Gian Paolo Barbieri, Milano 1998.

© Max Martino, Cortesia Fondazione Gian Paolo Barbieri

Addio a Gian Paolo Barbieri

Scomparso a Milano (dove era nato nel 1935, nella centralissima via Mazzini), era uno dei pilastri internazionali della fotografia di moda

 

Teresa Scarale

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Barbieri è stato tra i fautori (ancora oggi insuperato) dell’immaginario visivo dell’haute couture non per caso. Nei suoi fotogrammi nulla era lasciato al caso: ne curava ogni dettaglio, dalla concezione primigenia dell’idea al trucco e abbigliamento delle modelle. La «stoffa» di maestro della fotografia di moda gli derivava probabilmente dai genitori, commercianti di tessuti. L’amore per l’obiettivo, come tutti i grandi amori, non fu immediato, ma maturò lentamente, passando prima attraverso le quinte del teatro e la passione per il cinema: ragazzo, diede vita con due amici al gruppo teatrale «Il Trio».

I tre misero sul palco le scene più celebri dei film più famosi. E il giovane Gian Paolo il piede sul set cinematografico ce lo mise veramente, grazie a una piccola parte in «Medea», di un altro grande milanese, Luchino Visconti. È il 1953. Barbieri si forma come fotografo da autodidatta: l’amore per le pellicole americane lo spinge a sperimentare varie tecniche di illuminazione nella cantina di casa sua. Negli anni Sessanta immortala la Dolce Vita romana e il glamour di una «Weltanschauung» che ha dimenticato per sempre gli orrori della guerra. Sarà poi Gustav Zumsteg, produttore di seta svizzero amico di famiglia, a introdurlo al fotografo di «Harpeer's Bazaar» Tom Kublin in quel di Parigi.

L’esperienza durerà pochissimo, perché purtroppo Kublin sarebbe morto dopo tre settimane dall’inizio del lavoro di Gian Paolo Barbieri presso la rivista. Ma il battesimo avvenne: il fotografo nel 1962 apre a Milano il suo studio in viale Majno, fra Porta Vittoria e Porta Venezia. Non passa molto che «Novità» (di lì a pochi anni, nel 1965, sarebbe diventato «Vogue Italia») lo recluta. Il resto è storia. Continuò a collaborare con la galassia Condé Nast: «Vogue Francia», «Vogue Germania», «Vanity Fair», «GQ», «Vogue America». La mitica direttrice di quest’ultimo, Diana Vreeland (parigina nata Dalziel), gli chiese di trasferirsi negli Stati Uniti, lui rifiutò. Fu l’obiettivo di maison come quelle di Pino Lancetti, Valentino, Yves Saint Laurent.

È con Valentino Garavani che concepì la campagna pubblicitaria contemporanea della moda. Oltre che per lo stilista romano e per il francese Saint Laurent, realizzò campagne per Gianni Versace, Gianfranco Ferrè, Chanel, Dolce & Gabbana, Bulgari, Armani, Vivienne Westwood. Solo quattro anni dopo l’inaugurazione del suo atelier milanese, nel 1968, la rivista «Stern» lo incoronò fra i 14 fotografi di moda migliori al mondo. La sua estetica si contraddistingue per lo studio rigorosissimo dei particolari (ereditato dal teatro) e per una profonda conoscenza della storia dell’arte. Amava Gauguin e Matisse, tanto da replicarne le opere in alcuni allestimenti (si ricordi una «Stanza» di Matisse, allestita per la madre della moda punk Vivienne Westwood).

Lui stesso dipingeva, creando da sé le sue scenografie e «sporcando» la lente della macchina fotografica con la vasellina per restituire nelle sue foto la matericità della pittura a olio. Era lui a scegliere accessori e costumi delle modelle che ritraeva: nel periodo fervido del teatro era stato anche costumista. I suoi scatti uniscono in un filo ideale di bellezza volti come quelli di Audrey Hepburn e Monica Bellucci, passando per Jerry Hall e Veruska, Naomi Campbell ed Eva Herzigova. Icone di un mondo in cui diventare tali era davvero per pochi, come riconosceva, pur affermando che non aveva «mai inteso la bellezza come paradigma di bello» in quanto «non esiste un bello oggettivo, ho sempre voluto far scaturire una reazione di fronte alle mie foto».

Negli anni Novanta scopre il piacere fecondo dei viaggi culturali, che daranno vita a libri fotografici inattesi. 

La sua perfetta autonomia lavorativa lo porta nel 2017 a creare la fondazione che ha il suo nome, trasferendovi provvidenzialmente tutto il suo archivio. L’ente si dedica alla promozione della cultura fotografica, sostenendo giovani talenti e preservando il valore della fotografia come testimonianza e forma d’espressione. L’anno successivo alla nascita della Fondazione Gian Paolo Barbieri, nel 2018, gli viene riconosciuto il Lucie Award, ottenuto per l’Achievement in Fashion. Hanno accolto le sue opere: Palazzo Reale a Milano, il Mamm a Mosca, l’Erarta Museum of Contemporary Art di San Pietroburgo, lo Shanghai Museum nonché le collezioni del Victoria & Albert Museum e della National Portrait Gallery di Londra, del Kunstforum di Vienna, del Musée du Quai Branly di Parigi.

Risale al 2022 il pluripremiato docu-film (in Italia al Biografilm Festival di Bologna e in Bulgaria al festival Master of Art) sulla vita dell'artista, per la regia di Emiliano Scatarzi da un soggetto di Federica Masin e di Emiliano Scatarzi, «Gian Paolo Barbieri, l'uomo e la bellezza». Della nipote Giada le parole più affettuose dedicategli: «Quelle lezioni, quei momenti condivisi, li custodirò nel cuore per il resto dei miei giorni. Sei stato non solo un maestro di vita ma anche una parte fondamentale di me. Il tuo amore, i tuoi insegnamenti e il tuo ricordo vivranno in me e in tutti quelli che hanno avuto la fortuna di conoscerti. Ti porterò sempre con me zio. Ti amerò per sempre».

«Monica Bellucci in D&G, Milano 2000». Cortesia Fondazione Gian Paolo Barbieri

«Vivienne Westwood, Londra 1998». Cortesia Fondazione Gian Paolo Barbieri

Teresa Scarale, 19 dicembre 2024 | © Riproduzione riservata

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