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Arabella Cifani
Leggi i suoi articoliMi sono spesso domandata quale sia il meccanismo attraverso il quale ogni tanto mi capita di ipnotizzarmi guardando su Facebook o Tik Tok filmati di gatti. Gatti nei quali appare molto chiaro un solo pensiero: «Tu, umano, sei mio e non certo il contrario e, se possibile, non mi scocciare». Illudersi di «possedere» un gatto è infatti un pensiero ridicolo, perché è lui che possiede noi e fa di noi quello che vuole. Non è pertanto inconsueto vedere premi Nobel, illustri sapienti e grandi personaggi rincretinirsi dietro a uno o più gatti e parlare loro con vocine vezzose. Ricordo che il papa Joseph Ratzinger, quando era ancora decano del collegio cardinalizio, spesso transitava dalla porta del Sant’Uffizio con un codazzo di gatti che nutriva e a cui parlava in dialetto bavarese. Un giorno Ratzinger, che sempre ci fermava per chiederci dei nostri studi, vedendomi parlare con un gatto mi raccontò che da bambino ne aveva avuto uno, molto amato e a cui, quando era morto, aveva tagliato un ciuffo di pelo per conservarlo in una scatoletta come ricordo mentre lo seppelliva nel giardinetto della natia casa a Marktl. E se i papi si sciolgono davanti ai gatti, chi siamo noi per non fare altrettanto?
È però un dato di fatto che i gatti stanno invadendo i social media e c’è da domandarsi razionalmente che cosa si nasconda dietro il fascino millenario di questi animali. La mostra «Katzen!» (gatti!), al Museum am Rothenbaum Kulturen und Künste der Welt (Markk) di Amburgo dal 5 dicembre al 29 novembre 2026, ripercorre la storia di quello che è forse l'animale più versatile e sfaccettato della storia culturale: dalla venerata dea egizia Bastet al compagno delle streghe perseguitate, fino alle star virali di Internet dei giorni nostri. Pochi animali incarnano contraddizioni così evidenti: il gatto è carino e utile, sacro e sinistro, portatore di fortuna e simbolo di sfortuna allo stesso tempo. La mostra esplora il legame tra i gatti, la femminilità e il potere attraverso le culture e i secoli, un legame che rimane attuale ancora oggi. Nell’Antico Egitto una dea in forma felina era venerata come protettrice delle madri, mentre in India la dea indù della fertilità Sashthi cavalca un gatto nero. Tuttavia, nell’Europa moderna, le stesse associazioni di femminilità e fertilità hanno portato alla demonizzazione: il gatto nero è stato individuato come compagno delle streghe. Queste attribuzioni ambivalenti risuonano ancora oggi. Nella campagna elettorale statunitense del 2024, lo stereotipo della «signora senza figli con i gatti» è stato utilizzato per svalutare le donne, spingendone molte a rivendicare il gatto come emblema femminista. Attribuzioni e autoappropriazioni simili esistevano già al tempo del movimento per i diritti delle donne intorno al 1900. In Africa, Asia e oltre, i grandi felini come leoni, leopardi e tigri (cugini primi dei gatti) simboleggiano da tempo il coraggio, la forza. Appaiono come emblemi del potere reale e della potenza militare, plasmando l’immaginario di intere culture. In America Latina, il giaguaro occupa un posto speciale: un essere misterioso e sacro che cammina tra i mondi, colmando i confini tra la vita e l’aldilà come uno sciamano. «Per migliaia di anni, i gatti sono stati uno schermo su cui proiettare i desideri e le paure degli esseri umani. Simboleggiano innumerevoli idee, spesso contraddittorie, eppure rimangono misteriosamente intatti», afferma giustamente Lara Selin Ertener, curatrice della mostra. Ma perché proprio i gatti, tra tutte le creature, hanno conquistato Internet?
Maneki-neko, statuette Baigetsu Tomimoto-Ningyoen Tokoname, Prefecture Aichi, Giappone, 2025. © MARKK, Photo: Paul Schimweg
La mostra esamina il fascino del fenomeno della «carineria gattesca», rintracciandone le radici nell’estetica giapponese kawaii. I video sui gatti sono una forma di evasione o rappresentano una nuova pratica estetica con un potenziale politico? In realtà, gli attivisti utilizzano strategicamente i contenuti sui gatti per affermare la loro visibilità negli spazi digitali. Dai primi cortometraggi sui gatti della fine del XIX secolo e dal famoso paradosso del gatto di Schrödinger (un difficilissimo esperimento mentale ideato nel 1935 da Erwin Schrödinger con lo scopo di illustrare come la meccanica quantistica fornisca risultati paradossali se applicata a un sistema fisico macroscopico) alle rappresentazioni di gatti generate dall’Intelligenza Artificiale, i gatti sono sempre stati in prima linea nell’innovazione mediatica. «La mostra esamina, da una prospettiva socioculturale e globale, l’immaginario simbolico e spirituale dei gatti, i ruoli loro attribuiti e la loro rappresentazione politica e mediatica nella cultura pop, nella storia culturale e nella storia dell’arte», afferma Barbara Plankensteiner, direttrice del Markk. Attingendo alle collezioni globali del museo, la mostra combina oggetti storici con opere d’arte contemporanea, tra cui pezzi di Carolee Schneemann, Taewon Ahn, Melanie Cervantes e Chéri Cherin. Antiche statue di dee egizie, maschere demoniache giapponesi, rappresentazioni sciamaniche di giaguari dal Sud America, accessori per gatti domestici provenienti da famiglie europee, figure di maneki-neko che salutano con la zampa e molto altro ancora mettono in evidenza la diversità culturale del simbolismo dei gatti. Sono inoltre esposti contenuti sui gatti inviati dai residenti di Amburgo.
Una cosa è certa, aggirarsi nelle sale del Museo per visitare questa curiosa e originale mostra indurrà molti visitatori a ricalibrare le proprie basi estetiche e a scoprire che popoli come i tedeschi, già amatori della statuaria greca classica e cultori di Olimpia, oggi hanno scoperto di amare anche (e forse di più) animali come i gatti con tutti gli oggetti, filmini, fotografie, disegni, statuette e portafortuna che li rappresentano minuti e graziosi, secondo quel concetto di kawaii, insito dell’estetica giapponese del Seicento e del Settecento e tornato prepotentemente in auge alla fine del XX secolo. Una passione per tutto quello che è grazioso, bello, adorabile, tenero, carino, ambito nel quale i gatti sguazzano. Oltre a una serie di Maneki-neko di orrida ed efficace fattura, la mostra espone oggetti insoliti, come un inquietante sgabello coreano moderno a forma di gatto sul quale sedersi sembra essere difficile: intitolato «Hiro è ovunque» (2023), si tratta di un’opera di Taewon Ahn, il cui gatto Hiro, posizionandosi ovunque (come sono soliti fare i gatti), forse si ritrova usato come cuscino o sedia (ma provate a farlo sul serio e vedrete il risultato). Il percorso include anche copricapi e scarpette per bambini a forma di tigre (più gatto che tigre) di manifattura cinese del XIX secolo in grado di fare impazzire qualsiasi infante in qualsiasi parte del mondo. E poi ancora la lampada di Hello Kitty, una serie di confortevoli cucce di gatto dove vorrei abitare anch’io, caricature africane a forte contenuto politico, fotografie di gatti. Ovviamente in mezzo a manufatti egizi, di civiltà sudamericane, miniature indiane, gatti turchi.
Ricordate la profetica canzoncina del 1968 dei «44 gatti in fila per sei col resto di due»? Loro «si unirono compatti/In fila per sei col resto di due /Coi baffi allineati /In fila per sei col resto di due/Le code attorcigliate /In fila per sei col resto di due». Quei gatti non erano altro che l’avanguardia di un esercito di gatti che faceva le prove generali per conquistare il mondo.
Cheri Cherin, «Il re degli animali» 1999, Kinshasa, Democratic Republic of the Congo. © KHM-Museumsverband