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Veduta di una vetrina con diademi Karajá

Cortesia MQBJC - Léo Delafonaine

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Veduta di una vetrina con diademi Karajá

Cortesia MQBJC - Léo Delafonaine

Al Musée du Quai Branly riti sciamanici e arte plumaria dell’Amazzonia

Nella galleria Jardin del Museo parigino cinque sezioni illustrano tutta la ricchezza culturale di questa regione

È inutile negarlo: per noi l’Amazzonia è solo una foresta enorme, che assicura gran parte dell’equilibrio climatico dell’intero pianeta. A parte gli specialisti, nessuno sa che le popolazioni di quest’area, che, tra l’altro, presenta ecosistemi leggermente diversi, hanno creato opere d’arte molto belle e alcune delle terrecotte più antiche di tutta l’America. Per questo motivo, quindi, si deve salutare con piacere la mostra del Musée du Quai Branly Jacques Chirac (Mqbjc): «Amazônia. Créations et futurs autochtones», che vuole far vedere la ricchezza culturale di questa regione, la quale anche per questo, forse, nel titolo è presentata in portoghese.

L’esposizione, aperta fino al 18 gennaio 2026, è curata da Leandro Varison, antropologo del Mqbjc di origine brasiliana, e da Denilson Baniwa, artista di origine amazzonica impegnato nella difesa dei diritti delle popolazioni indigene.

Lungo il percorso espositivo sono presentate circa 150 opere del Museo parigino e alcune decine di reperti del Museo di Archeologia e Etnologia dell’Università di San Paolo e di collezioni private. Uno spazio importante è dedicato alla musica, ai canti e alle diversità linguistiche. La mostra, che si tiene nella galleria Jardin del museo, è divisa in cinque sezioni, che presentano la ricchezza culturale dell’Amazzonia.

La prima sezione è dedicata ai miti della creazione e mette in evidenza che la terra, vale a dire la foresta, è il risultato di un continuo processo di trasformazione e rigenerazione, che è garantito dal sapere e dai riti degli sciamani. Questa visione del mondo, in particolare, è esemplificata dai miti sulla creazione dei Karajá, che descrivono l’origine acquatica dell’umanità, e da quelli delle etnie del Rio Negro, secondo le quali gli esseri umani sono stati creati dagli ornamenti di speciali divinità.

A differenza di altre mitologie, che spesso evocano una creazione unica del mondo dal nulla, i miti amazzonici sottolineano l’idea della trasformazione come genesi di ogni cosa. Non esiste un'origine assoluta, un primo mondo, un essere primordiale che non sia esso stesso il risultato della trasformazione di una realtà preesistente. Per le culture amazzoniche, ogni creazione è il prolungamento o la trasformazione di un presupposto. In questa sezione i visitatori, in un’installazione immersiva, possono ascoltare la musica di un demiurgo mitico, il cui corpo è costituito dai suoni degli animali della foresta.

La seconda e la terza sezione sono dedicate ai processi naturali e culturali che sono alla base dell’identità di ogni persona e che consentono poi di avere relazioni con le altre etnie.

Nella sezione successiva si tratta il rapporto delle popolazioni amazzoniche con l’ambiente.

La quinta sezione, infine, affronta il problema della colonizzazione, che è cominciata nel XVI secolo, è proseguita in modi diversi fino ad oggi e che continua a rappresentare una grave minaccia per chi vive in Amazzonia. Tuttavia, con un eccessivo ottimismo si mette in evidenza che le popolazioni indigene sono riuscite a mantenere la loro cultura, adattandola ai processi innescati dai contatti con i «bianchi».

Nel complesso, la mostra presenta le opere tipiche delle culture amazzoniche, dai cesti alle maschere, dagli oggetti in legno (sgabelli, panche, ma anche portasigari, ecc.) alle amache, dalle terrecotte antiche a quelle di oggi, dai tanga agli ornamenti (orecchini, bottoni labiali, corone con artigli di giaguaro, ecc.), dagli strumenti musicali (sonagli, tamburi, rombi, trombette fatte con gusci di zucca, ecc.) alle pitture corporali.

Su tutti chiaramente emergono gli oggetti decorati con le penne che, senza dubbio, si possono considerare i più belli al mondo nel settore dell’arte plumaria. In queste tipologie il colore ha un ruolo centrale e dominante e, in genere, presenta i toni decisi dei colori primari e delle loro sfumature, mentre il materiale usato (spesso penne e piume di Ara ararauna e Ara macao) conferisce slancio e al contempo morbidezza. Le mani esperte che hanno realizzato queste opere si distinguono per la sensibilità nell’accostamento dei colori, per l’ingegno nell’ideazione e nella costruzione di opere di grandi dimensioni, che, una volta indossate, rimangono stabili, e per la creatività nell’ideazione di reperti, che grazie all’uso di piume differenti per lunghezza e morbidezza, sembrano sempre nuovi, pur essendo espressione della stessa tipologia. Una novità assoluta della mostra, inoltre, è costituita dal dialogo tra i reperti tradizionali dell’arte amazzonica e le opere inserite lungo il percorso espositivo di numerosi artisti originari di questa macroarea culturale. Nonostante questo, tuttavia, è doveroso segnalare che nella mostra non sono state inserite alcune delle opere più belle delle popolazioni dell’Amazzonia. Anche se per fortuna queste lacune non sono numerose, si può mettere in rilievo, ad esempio, sia la mancanza di terrecotte Asurini, che sono realizzate solo da donne e sono decorate con motivi geometrici molto belli, sia la mancanza di opere Ticuna con disegni di alto livello.

Paulo Desana, «Gli Spiriti della Trasformazione». Cortesia MQBJC - Paulo Desana

Copricapo Munduruku. Cortesia MQBJC - Pauline Guyon

Antonio Aimi, 23 novembre 2025 | © Riproduzione riservata

Al Musée du Quai Branly riti sciamanici e arte plumaria dell’Amazzonia | Antonio Aimi

Al Musée du Quai Branly riti sciamanici e arte plumaria dell’Amazzonia | Antonio Aimi