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Gabriele Castagnola, «Filippo Lippi e Lucrezia Buti», 1873, collezione privata (particolare)

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Gabriele Castagnola, «Filippo Lippi e Lucrezia Buti», 1873, collezione privata (particolare)

Amore in convento, faide tra pittori e molti delitti

Qualche consiglio libresco per l’estate tra antiquari e ’ndrangheta, Artemisia a Napoli e avvelenatrici seriali nella Roma del Seicento

Arabella Cifani

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A noi italiani, Uccelli di Rovo scritto nel 1977 da Colleen McCullough, da cui fu tratta nel 1983 una serie televisiva dal successo travolgente, non ci fa un baffo. La storia degli amori di padre Ralph e Meggie è insipida come una patata bollita a confronto di quella, tutta fuoco e passione, che avvinse il grande pittore Filippo Lippi, frate carmelitano assai poco convinto di fare il frate, e la bellissima Lucrezia Buti, altrettanto poco convinta di fare la monaca. Negli anni ’50 del Quattrocento, mentre lavorava a Prato, Filippo divenne cappellano del locale Convento di santa Margherita. Mentre dipingeva uno dei suoi quadri raffiguranti una Madonna, l’artista chiese alla madre badessa di poter scegliere una monaca che gli facesse da modella. Posò per lui Lucrezia Buti. I due si innamorarono perdutamente e Filippo rapì Lucrezia e andò a convivere con lei. Nel 1457 nacque Filippino, destinato a divenire un grandissimo pittore. Il papa capì il loro dramma, li sciolse dai voti e i due si sposarono (e non vissero felici e contenti, ma litigarono spesso). Lippi ritrasse Lucrezia in molte sue tele trasfigurando la sua bellezza angelica e quasi sovrannaturale in figure di sante o di Madonne. Il gradevole libro di Carla Maria Russo, Il velo di Lucrezia (352 pp., Neri Pozza, Milano 2025, € 20) racconta in forma molto romanzata questa vicenda e si impernia su uno dei più celebri dipinti di Lippi: la «Madonna con Bambino e due angeli» oggi agli Uffizi, un quadro che è uno dei simboli del rinascimento fiorentino. Una bella lettura per chi ama dolci storie d’amore inzuccherate di arte, ad arte. 

Se invece vi piacciono i polizieschi molto aggrovigliati, I collezionisti. La prima indagine di Gaia Innocenti di Paolo Regina (256 pp., Feltrinelli, Milano 2025, € 19), ambientato in una Trani spettrale, fa al caso vostro. L’omicidio di un vecchio e scalcagnato antiquario inglese durante una fiera impegna il vicequestore Gaia Innocenti, capo della squadra mobile di Trani, in un’inchiesta difficile. Severa, scostante, con ricordi cattivi e ossessioni, Gaia, che segretamente fa volontariato sotto falso nome, avvia un’indagine complessa. In 11 giorni di ricerche si scopre che gli antiquari non sono come sembrano (e questo forse lo sapevamo), i direttori di musei perseguono affari poco lineari, la ’ndrangheta gira per gli stand della fiera. Neanche l’ispettore Gaia è quello che noi pensiamo possa essere. Anzi. Scritto con piglio sicuro, si legge d’un fiato. 

Usciti un po’ storditi da questa lettura, potete poi tuffarvi nel golfo di Napoli che fa da sfondo a un libro in cui parlano tutti, compresi i quadri. La storia ruota attorno all’arrivo a Napoli di Artemisia Gentileschi (Il gioco di Artemisia, di François de Bernard, traduzione di Letizia Fusini, 304 pp., Piemme, Milano 2025, € 21). Non mancano furti misteriosi, tentati omicidi e omicidi riusciti, gatti allo spiedo, faide fra pittori, l’Inquisizione, la rivolta di Masaniello e tutto quello di napoletano che vi viene in mente salvo la pizza; il tutto condito con ingiustificate incursioni linguistiche nel contemporaneo, citazioni di Gomorra, delle fatwe, dei mullah, dei Sioux e delle garçonnière. Ovviamente le eruzioni del Vesuvio e i terremoti con miracoli di san Gennaro compresi si sprecano. Il gran finale comprende una morte eclatante. Ma non ve lo riveliamo. Si legge con divertimento, fra un tuffo e l’altro, e tanto ci basta.

E per finire in bellezza (o bruttezza, a seconda dei punti di vista), un suggerimento: se a qualche signora annoiata venisse in mente di far fuori il marito mentre è pigramente sdraiata in spiaggia, non si perda questo libro. A Roma, nel Seicento una serie di donne profondamente scocciate da padri padroni o mariti vecchi, violenti, bavosi e perversi, si affida a tale Giovanna de Grandis per procurarsi un’«acquetta» a base di arsenico che, mescolata accortamente alla minestra, accoppa il coniuge lentamente senza lasciare traccia (L’acquetta di Giulia. Mogli avvelenatrici e mariti violenti nella Roma del Seicento, di Simona Feci, 368 pp., Viella, Roma 2024, € 28). Questo però non è un romanzo. È una storia vera, di donne vessate e maltrattate che si vendicano come possono, di giudici e preti orribili, di torture usate come mezzo per estorcere confessioni, di boia che impiccano, squartano, decapitano. Di delatori, di spie. Un’impeccabile indagine storiografica che si legge con stupore e tremore, a basse luci caravaggesche. 

Arabella Cifani, 26 luglio 2025 | © Riproduzione riservata

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