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Boccardo dopo Albini: così sarà Palazzo Rosso

Il direttore Piero Boccardo spiega i criteri passati, presenti e futuri dell'allestimento di Palazzo Rosso, capolavoro della museologia italiana grazie ai progetti di Franco Albini e Caterina Marcenaro

Piero Boccardo

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Per quanto la mèta sia ancora lontana, l’apertura in Palazzo Rosso a Genova delle sale dedicate al XIX secolo, consente finalmente di traguardarla. La nuova sezione (non scontata in un edificio di cui a lungo è stata divulgata solo la facies barocca «originale») permette di arrivare a comprendere l’impostazione complessiva dei lavori di adeguamento impiantistico e restauro della storica dimora genovese, generosamente sostenuti dalla Compagnia di San Paolo, finora portati avanti per singoli lotti.

Che a sessant’anni dal celebrato intervento di Franco Albini, attuato tra 1953 e 1961 sotto l’energica direzione di Caterina Marcenaro, fosse necessario por mano a impianti fuori norma, riprendere gli affreschi secenteschi nuovamente ammalorati, e dotare il palazzo delle tecnologie oggi indispensabili alla sua vita e alla sua fruizione, è scontato. Mentre possono risultare meno evidenti le ragioni che hanno indotto a operare, sporadicamente e non necessariamente in termini definitivi, scelte diverse da quelle attuate in occasione del ripristino post bellico. Il fatto è che Palazzo Rosso non solo è stato abitato per tre secoli (la sua più illustre ultima inquilina è stata proprio Caterina Marcenaro nelle stanze che le aveva approntato Albini), ovvero ben oltre quell’età barocca in cui era stato costruito, ma per di più ciascuna delle sei generazioni dei Brignole-Sale, proprietari tra 1677 e 1874, volle dimorare, far decorare e arredare parti diverse della residenza. Di tutte queste fasi l’edificio conserva significative testimonianze. E dunque proprio l’acquisita consapevolezza della sopravvivenza di ciascuno dei sei «appartamenti» via via abitati dai Brignole-Sale, con i quali è del tutto organico l’alloggio albiniano, ha indotto a impostare un diverso e più articolato percorso museale all’interno di Palazzo Rosso che, rispettando moltissimo dell’allestimento Albini-Marcenaro, metta in luce e consenta di ripercorrere l’intera storia dell’edificio.

Per prefigurare il traguardo è opportuno illustrare concisamente i sette ambiti identificati, quanto ne sopravvive e quali interventi implica (o ha implicato) il loro recupero e la loro apertura al pubblico, procedendo per livelli e fornendo in primis le notizie indispensabili a rendersi conto delle sue caratteristiche architettoniche. Palazzo Rosso è stato costruito nel 1671-77 su progetto di Pier Antonio Corradi ed è articolato su due piani nobili, in quanto destinato a due fratelli, e altrettante «mezzarie»: una tra primo e secondo piano nobile, l’altra, di maggior altezza, sopra il secondo nobile, ovvero sotto tetto; al corpo di fabbrica principale, di impianto rettangolare, entro la fine del Seicento è stato unito su parte del lato ovest un edificio contiguo preesistente, ma riattato per aumentare la superficie del secondo piano nobile: ne consegue che l’intero complesso ha una pianta a L.

L’attuale aspetto dell’atrio, del cortile e del giardino è frutto del restauro attuato da Franco Albini delle sobrie linee architettoniche originali e della concomitante sistemazione di arredi e sculture. Va inteso come provvisorio il volume della portineria, sistemata una ventina di anni fa sull’asse centrale tra portone e cortile, in attesa che i nuovi impianti ne consentano una diversa dislocazione. Come il piano terreno e lo scalone, anche l’intero primo piano nobile (16 sale, 6 delle quali già adeguate e restaurate tra 2000 e 2004) è destinato a mantenere gli aulici caratteri architettonici albiniani, non solo perché quasi nulla è sopravvissuto delle sue fasi precedenti, ma per la coerenza e la qualità di quanto progettato e realizzato nel corso dell’intervento postbellico, e per i tuttora validi apparati di allestimento (mantendendo anche i corpi illuminanti, sostituite le parti elettriche). Al livello soprastante il primo piano nobile è il primo mezzanino. Finora non compreso nel percorso museale, costituisce una delle meraviglie che il palazzo ha conservato al suo interno attraverso i secoli, non tanto per le opere di inizio Settecento dovute a Gregorio De Ferrari e Domenico Parodi, ma per la «messa in scena» che i due artisti hanno saputo attuare in sale dall’altezza piuttosto ridotta.

I lavori recenti hanno già reso possibile accedervi direttamente dallo scalone, ripristinando in linee moderne un passaggio preesistente, ma per la sua pubblica fruizione ancora mancano (e non è cosa da poco in quell’ambito) tutte le dotazioni impiantistiche. Il secondo piano nobile (in cui sono compresenti due delle fasi abitative sopracitate, ovvero quella che riconduce alle origini del palazzo, datando al 1690 circa, e quella, conservatasi solo in parte, risalente al 1740 circa) è il «testo» più difficile da affrontare, da un lato per quanto è sopravvissuto degli interventi storici e dall’altro per le scelte (dettate anche da ragioni ideologiche ed economiche) operate da Albini-Marcenaro.

Per il momento intempestive sono le voci polemiche che si sono levate, giacché le decisioni a riguardo potranno essere prese (in accordo con gli organi di tutela, come sempre è stato fatto) solo nel momento in cui si sarà attentamente verificato quanto ancora resta di antico in questo complesso palinsesto. Per quanto riguarda l’alloggio progettato da Albini per la Marcenaro sopra le Dipendenze del secondo piano nobile, l’allestimento nei termini di «Casa di un amatore d’arte» (così come recitava l’articolo di «Domus» che rese famoso questo appartamento) permette già ora di spingere fino al Novecento l’itinerario attraverso la storia dell’abitare all’interno di Palazzo Rosso. Le sale a ponente dell’ultimo piano, quelle abitate dagli ultimi Brignole-Sale e che nulla hanno conservato del loro aspetto ottocentesco, sono quelle oggetto dell’intervento inaugurato il 15 ottobre. Allo stesso piano, a levante, vanno invece ancora recuperate le stanze abitate a fine Settecento, al cui decoro e arredo soprintese con gusto protoneoclassico l’architetto Gaetano Cantoni, fratello del più noto Simone. 1690, 1710, 1740, 1783, 1840, 1888 e 1955: sette date per scandire altrettante epoche che Palazzo Rosso, una volta completati i lavori, sarà in grado di illustrare al massimo livello anche per merito di Pier Antonio Corradi, Gregorio De Ferrari, Gaetano Cantoni e, infine, Franco Albini.
 

Piero Boccardo, 05 novembre 2016 | © Riproduzione riservata

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