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Lucio Pozzi
Leggi i suoi articoliSandra Binion offre un buon antidoto all’atteggiarsi di moda nel mondo dell’arte
Sandra Binion (nata a Chicago nel 1949, dove tuttora lavora), opera su molti registri ma il motivo che più accompagna la sua arte è l’osservazione della natura. Basta un seme o l’ombra di una radice per ispirarle un acquerello o una fotografia. Le varie operazioni che sono generate dalla sua versatilità non sono mai atteggiate a dimostrare alcunché o a seguire questa o quell’altra tendenza o teoria. Nascono spontanee dalla sensibilità acuta con la quale recepisce il mondo.
L’artista cammina e guarda. Una foglia su un marciapiede di Chicago, un intrico di alberi in un bosco della Toscana le suggeriscono innumerevoli dispense dal dover classificare o insegnare. Da questo suo atteggiamento per metà attonito, per metà preciso come l’occhio di un microscopio, nasce un’arte variegata che dall’effimero si proietta in un flusso esistenziale senza conclusione.
Arte come questa è un buon antidoto all’atteggiarsi tanto di moda nel nostro mondo internazionale delle mostre. Binion trasmette le sue riflessioni accurate anche in ambienti costruiti e in video. In questi ultimi purtroppo cade un po’ nella sindrome che compromette tante opere contemporanee digitali. Alla voce narrante manca la sapiente teatralità sommessa e pensierosa che vorrebbe trasmettere. La pedanteria della voce riduce il potere meditativo delle immagini.
Di recente Sandra ha prodotto un lavoro che considero interessante. Le hanno dato un’enorme parete (360 x 1.200 centimentri) nello spazio della Illinois State Museum Chicago Gallery. L’ha completamente coperta con una fitta scrittura di suoi testi in italiano (retaggio delle lunghe permanenze in Italia) e inglese, applicata con un pennello intinto in un grigio preparato da lei stessa, in una calligrafia sua particolare che vaga fra disegno e ortografia. Le ci sono voluti tre giorni senza tregua per farlo tutto d’un fiato mantenendo la tensione e l’idiosincrasia della concentrazione.
Poi ci ha allineato sopra piccole cornici bianche con dentro gli acquerelli ispirati dalla natura che da sempre compone e le ha alternate a stampe fotografiche. Lo spettatore poteva camminare da un estremo all’altro del murale e perdersi nel labirinto di letture obbligatoriamente frammentarie perché era impossibile tenere il filo del discorso in una sola «tirata». La camminata di lettura veniva punteggiata e interrotta dai quadretti intensi nelle loro cornici. Quanto più immenso era il mare del testo, tanto più dense si offrivano le forme delicate del pensiero fermato su carta. Come l’artista si incammina nel labirinto della foresta cercando le tracce mitiche delle piccole cose della natura, così anche lo spettatore si incammina nell’intrico delle parole per fermarsi come per caso sulle tracce dello sguardo.
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