Alessandro Martini
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Avviato dalla precedente direttrice Enrica Pagella (in pensione dallo scorso novembre, si attende ancora il bando per la nomina del nuovo direttore dei Musei Reali, ora passati in prima fascia tra i musei statali autonomi), si è pressoché concluso il completo riallestimento della Galleria Sabauda, nella Manica Lunga di Palazzo Reale. Dopo la riconfigurazione della pittura del Seicento, della Galleria Archeologica, del Settecento, della Collezione Gualino, delle ceramiche Lenci, ora, al secondo piano, è la volta di uno dei nuclei più significativi e identitari dell’intera Galleria Sabauda, la collezione fiamminga olandese, una delle più significative in Italia (insieme agli Uffizi) per estensione cronologica e varietà di generi.
È il frutto di un costante interesse dei Savoia per gli artisti del Nord Europa, che ha fatto sì che acquisizioni e commissioni si siano susseguite, senza soluzione di continuità, dal Quattro all’Ottocento (è il 1832 quando la Reale Galleria apre al pubblico per volontà di re Carlo Alberto), passando per la raccolta Bodissoni acquisita nel 1737 a Venezia da Carlo Emanuele III e, soprattutto, per l’arrivo a Torino, nel 1741, della raccolta viennese del principe Eugenio di Savoia Soissons. Il nuovo ordinamento, a cura di Annamaria Bava e Sofia Villano e progettato da Loredana Iacopino, presenta oltre 180 opere ed è completato da un percorso che dai capolavori dei maestri primitivi nordici (straordinaria la prima sala con Jan van Eyck e Rogier van der Weyden) arriva alle scuole italiane del Seicento.
Sono sei le sale dedicate alla collezione del principe Eugenio di Savoia Soissons (Parigi, 1663-Vienna, 1736), comandante in capo dell’esercito asburgico (fu assai celebrato all’epoca per aver fermato l’avanzata dei Turchi in Europa), ma anche intellettuale colto e raffinato, capace di radunare una straordinaria collezione nelle sue dimore viennesi, tra cui il Belvedere Superiore. Dopo la morte a Vienna nel 1736, è la nipote Vittoria di Savoia Soissons a mettere in vendita l’immenso patrimonio, tra cui la quadreria portata a Torino da Carlo Emanuele III, con i maestri del classicismo seicentesco come Nicolas Poussin, Guido Reni e Francesco Albani, i capolavori di Antoon van Dyck e le scene di genere, paesaggi, nature morte e soggetti sacri e mitologici di Jan Brueghel il Vecchio, Paul Bril, Gerrit Dou, Paulus Potter e David Teniers. Oggi queste opere sono allestite nella Sabauda, anche in forma di quadreria barocca, sulla base del loro ordinamento originario, testimoniato dalle bellissime incisioni di Salomon Kleiner del 1731-40, replicate nelle sale attuali in suggestive gigantografie. Non si contano i capolavori esposti nelle sale, ma è impossibile non soffermarsi sul nucleo, unico in Italia, di 13 opere del grande vedutista Jan Griffier o sul «Vecchio dormiente» di Rembrandt van Rijn, acquistato nel 1866 (nella foto, la sala dei Rembrandt), uno dei rari dipinti autografi del pittore olandese presenti nei musei pubblici italiani. Seguono le scuole italiane del Seicento, frutto del collezionismo sabaudo, un focus sulla Torino del periodo, e uno sulle donne artiste tra XVI e XVII secolo, con opere di Sofonisba Anguissola, Giovanna Garzoni, Orsola Caccia e Fede Galizia.
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