Peter Humfrey
Leggi i suoi articoliQuante chiese esistevano nella penisola italiana intorno all’anno 1500? Probabilmente nessuno lo ha mai calcolato. Quanti altari c’erano in ciascuna di queste chiese? Nelle parrocchie di campagna, forse non più di uno o due, ma nelle grandi chiese cittadine e degli ordini religiosi spesso anche venti. Quanti di questi migliaia di altari erano ornati di dipinti o sculture? Nel corso dei secoli XIV e XV, soprattutto nei grandi centri urbani come Roma, Napoli, Milano, Firenze e Venezia, un altare senza un’adeguata pala sarebbe stato considerato una povera cosa.
Famiglie facoltose e istituzioni sociali facevano a gara a commissionare per i propri altari e cappelle belle decorazioni e opere d’arte, legate ai propri interessi devozionali. Non stupisce pertanto che per tutto il Rinascimento la produzione di pale d’altare costituisse uno dei compiti principali di ogni pittore, sia che fossero Raffaello o Tiziano, sia artisti minori.
Come tessere un disegno storico per queste migliaia di pale d’altare rinascimentali? I diversi centri artistici italiani avevano sviluppato nel corso del tempo caratteristiche distintive. È sempre possibile riconoscere e distinguere una pala d’altare del Trecento senese o del Quattrocento fiorentino, soprattutto perché i loro disegni riflettono lo stile prevalente del loro tempo e luogo.
Tuttavia, qualsiasi tentativo di applicare una struttura geografica a un’indagine ampia comporta un’eccessiva frammentazione e l’esclusione di centri più piccoli, che in Italia però sono stati spesso di cruciale importanza.
Allo stesso modo, si potrebbe costruire una storia dell’arte del periodo usando una serie di casi studio o di punti di riferimento storici. Questo potrebbe fornire lumi circa una selezione di capolavori maggiori, tenendo anche conto del ruolo di alcuni importanti mecenati. Tuttavia, ciò avverrebbe a scapito di molte opere d’arte minori, che meritano di essere considerate come parte del quadro più ampio.
Nel suo ultimo libro David Ekserdjian adotta una strategia diversa e presenta la prima indagine a tutto campo sul tema della pala d’altare italiana rinascimentale. Il libro si estende cronologicamente dalla «Maestà» di Duccio del 1308-11 a opere di Barocci e Veronese nel tardo XVI secolo, e geograficamente dal Piemonte al Friuli e fino alla Sicilia. Questo vasto materiale è disposto in un ordine prevalentemente tematico. L’argomento dominante è evidenziato dal sottotitolo: Tra icona e narrativa.
In termini generali, le prime pale d’altare tendevano a presentare immagini statiche di persone come la Vergine Maria con santi di solito collocati negli scomparti separati dei polittici; mentre dal XVI secolo i campi pittorici unificati forniscono molto più spazio per la rappresentazione di storie del Nuovo Testamento o della vita dei santi.
David Ekserdjian ritiene che, nel contesto della pala d’altare, i termini iconae narrativa non sono opposti; entrambi sono impliciti nella stessa collocazione dell’immagine sopra un altare, che è contemporaneamente un luogo per la celebrazione dell’eucaristia e per la contemplazione devota dei misteri della fede cristiana. Quindi l’immagine di un santo di solito evocava anche le circostanze e il significato della sua vita, mentre il messaggio implicito in una narrazione anche intensamente drammatica era senza tempo.
L’intreccio tra icona e narrazione è ben illustrato dai due esempi citati nel capitolo introduttivo; il primo riguarda la «Madonna col Bambino tra i santi Francesco e Giorgio» (1532), del pittore ravennate Luca Longhi (Museo Storico Archeologico di Sant’Arcangelo di Romagna); il secondo la «Madonna di san Girolamo» del Correggio (Galleria Nazionale di Parma), di soli quattro anni prima. In entrambi i casi il soggetto è quello molto comune della cosiddetta sacra conversazione, in cui la Vergine col Bambino al centro è circondata da un gruppo di santi.
La pittura del Correggio è infinitamente più sofisticata: vi si trovano nuovi modi di esibire gli attributi dei santi, i riferimenti alle circostanze della loro vita; la composizione è animata da sottili asimmetrie e increspature di movimento. Ai nostri occhi, la composizione di Longhi non è solo molto più rigida, ma è anche leggermente surreale: con san Giorgio che insegue e abbatte il drago in un piccolo interno architettonico in cui è anche presente un donatore inginocchiato, impassibile in primo piano a destra.
Per i contemporanei questo esempio sarebbe stato probabilmente non meno efficace di quello del Correggio nell’adempimento delle varie funzioni religiose e sociali della pala. David Ekserdjian mostra una conoscenza enciclopedica impressionante delle vie secondarie dello sviluppo delle pale d’altare durante questo periodo. Longhi è solo uno dei numerosi esempi che servono come complementi illuminanti ai capolavori più familiari del genere.
Oltre a indagare la tensione creativa tra icona e narrativa, l’autore trova spazio per discutere vari altri aspetti essenziali della pala rinascimentale: i modi in cui era incorniciata in legno o marmo e come talvolta veniva abbinata alla scultura figurativa; le modalità con cui se ne è discusso nei documenti scritti dell’epoca; i modi in cui ha risposto al mutevole clima religioso dell’età della riforma del XVI secolo. Un libro davvero coinvolgente e poderoso, che affronta un tema non facile con leggerezza e garbo, secondo la migliore tradizione dell’Università di Yale.
L'autore dell'articolo è Professore emerito di Storia dell’Arte, Università St. Andrews (Scozia)
The Italian Renaissance Altarpiece: between Icon and Narrative
di David Ekserdjian, 496 pp., ill., Yale University Press, NewHSven-Londrs 2021, $75, £60