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Una veduta della folla alla Galleria dell’Accademia di Firenze per vedere il «David» di Michelangelo

Foto tratta da Wikipedia, Rhododendrites

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Una veduta della folla alla Galleria dell’Accademia di Firenze per vedere il «David» di Michelangelo

Foto tratta da Wikipedia, Rhododendrites

Il Louvre non è l’unico museo a dover porre rimedio all’«attraversamento carovaniero»

Troppo spesso l’architettura dei musei prevale sui criteri espositivi che dovrebbero presentare le opere con le giuste pause per consentire al visitatore di ammirarle dal punto di vista originariamente pensato dagli artisti

Fernando De Simone

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Dovrebbe essere esteso anche ad alcuni musei italiani il grido d’allarme della presidente del museo del Louvre Laurence Des Cars inerente la necessità di effettuare urgenti lavori strutturali per trovare una nuova collocazione per la «Gioconda».

Il museo è un mezzo che deve contribuire, con la giusta collocazione delle opere d’arte, ad evolvere l’educazione visiva dei visitatori,come hanno più volte evidenziato Benedetto Croce, Carlo Ludovico Ragghianti, Federico Zeri e Bruno Zevi. In molti dei musei costruiti o ristrutturati negli ultimi anni le opere d’arte non sono più considerate come i soggetti bensì come degli oggetti: già Federico Zeri faceva notare che «spesso gli architetti paiono ignorare che ai musei ci si reca per vedere le raccolte e non per ammirare le architetture», «nel museo ideale l’architttura dovrebbero addirittura sparire», «il contenitore non può essere privilegiato a scapito del contenuto».

Nei musei viene sempre di più trascurata la giusta collocazione e l’illuminazione. Che cosa succede se si mangiano contemporaneamente svariate pietanze con gusti estremi? Le papille gustative si confondono. Questi cibi, singolarmente squisiti, vanno gustati separatamente e con le giuste pause. Anche i visitatori di un museo hanno bisogno di «gustare» singolarmente, come ha scritto Benedetto Croce, le opere d’arte e debbono avere le stesse possibilità di percezione visiva che gli artisti hanno pensato al momento della loro realizzazione. Secondo le teorie di Carlo Ludovico Ragghianti, nelle proprie sale espositive un museo deve offrire visuali uniche e multiple delle opere collocandole nei modi più consoni alle loro specifiche esigenze spazio-temporali di visibilità e presentandole al pubblico nella loro originaria modalità di contemplazione. Ai suoi allievi (tra cui io) Ragghianti raccomandava di non dimenticare che negli allestimenti e progetti museali bisognava cercare di evitare il fenomeno dell’«attraversamento carovaniero», come si è verificato al Louvre.

A vantaggio dell’educazione visiva, i percorsi devono essere dotati di zone asimmetriche organiche, con parentesi di penombra per le pause di riflessione. Non bisogna ripetere errori di collocazione come alla Galleria dell’Accademia di Firenze, dove i «Prigioni» di Michelangelo sono illuminati da luci direzionali fisse e il «David», anch’esso del Buonarroti, permette un solo punto di visione dal basso in alto, quando invece la statua era stata pensata per essere osservata da più visuali, anche ascensionali o discendenti spiralate e dalle finestre dei palazzi affacciati su piazza della Signoria per la quale era stata realizzata.

Nel 2004 avevo suggerito di far avvicinare i visitatori in fila indiana, così come si posizionano fuori dalla Galleria dell’Accademia nell’attesa di entrare, e non in gruppi di 60 persone per volta. Tale precauzione avrebbe scongiurato problemi di avvallamenti dei pavimenti deboli (Uffizi, Sala della Niobe), e di micro-crepe nelle statue («David» di Michelangelo). Un gruppo di 60 persone equivale a un peso concentrato di circa 4,5 tonnellate, che si avvicina e si allontana rapidamente dalle opere d’arte per molte volte al giorno provocando oscillazioni e vibrazioni nocive alle statue e ai pavimenti.

A Parigi, la collocazione dei dipinti italiani dal XIII al XVI secolo nell’Ala Denon del Louvre è pessima. Al Musée d’Orsay gli impressionisti sono ospitati nella soffitta, in sale striminzite; architetture e scenografie grandiose sovrastano e schiacciano le opere facendole diventare degli accessori.

Oggi purtroppo di magistrali intuizioni negli allestimenti museali, come quelle di Carlo Scarpa, non se ne vedono molte.

Nel Museo degli Eremitani di Padova il «Crocifisso» di Giotto (1,64x2,23 metri), che era stato realizzato per essere appeso al centro della Cappella degli Scrovegni e quindi per essere visto dal basso in alto, è collocato in una stanza che permette solo una visione frontale e ravvicinata, come se fosse il «Cristo morto» di Mantegna (0,81x0,66 metri) nella collocazione alla Pinacoteca di Brera. Sempre nel Museo degli Eremitani è estremamente difficoltoso osservare a pochi metri di distanza dipinti di grandi dimensioni, come quelli provenienti dalle chiese che erano stati pensati per essere visti a decine di metri, come per esempio la Pala del Romanino (3,66x6,78 metri) proveniente dall'altare maggiore della Chiesa di Santa Giustina a Padova. Viceversa al Louvre il «San Giovanni Battista» di Leonardo da Vinci (1,15x1,77 metri) è appeso vicino al soffitto, a circa 6 metri dal visitatore.

Anche al Centre Pompidou di Parigi, al Guggenheim di Bilbao e al Getty Center di Los Angeles non sono state trovate soluzioni ai vincoli dell’architettura delle sale.

Fernando De Simone, 01 febbraio 2025 | © Riproduzione riservata

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