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Il bugiardo è tornato

Il bugiardo è tornato

Massimiliano Gioni

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C’era da aspettarselo: Maurizio Cattelan, dopo il ritiro annunciato nel 2012, riappare in scena. Un wc d’oro al Guggenheim e il suo Hitler bambino all’asta (10-15 milioni di dollari da Christie’s) ne celebrano il ritorno. Mentire paga. Massimiliano Gioni, alter ego di Cattelan per molti anni («Ero il suo impostore, portavoce, ufficio stampa, critico militante, collaboratore, complice e confessore»), ha scritto per «Il Giornale dell’Arte» com’è «il suo Cattelan»

 



 

La notizia, come tutte quelle che circondano Cattelan, è scoppiata come un caso mediatico: Maurizio Cattelan esce dal pensionamento anticipato nel quale si era ritirato cinque anni fa e torna a fare l’artista, presentando un cesso d’oro massiccio installato in uno dei bagni pubblici del Guggenheim di New York. 

 



L’arte moderna, si sa, è nata in bagno: 99 anni fa un signore di nome Marcel Duchamp, sotto le mentite spoglie di Richard Mutt, firmava un pisciatoio e lo trasformava in fontana. Che il cesso di Cattelan si intitoli «America» non aggiunge altro scandalo: lo stesso Duchamp, o forse la sua amica Beatrice Wood (artista e ceramista americana, Ndr), dichiarava già nel 1917 che tubature e sanitari erano le uniche opere d’arte che l’America avesse prodotto, mentre la baronessa Elsa Von Freytag Loringhoven, altra dadaista della prima ora e secondo alcuni addirittura la vera autrice della «Fontana» di Duchamp, proclamava: «Merda della merda della merda della merda della merda della merda dell’America!».

Che Cattelan esca dal pensionamento per darsi all’idraulica più scatologica non stona neanche con la lunga serie di lavori più o meno sfiancanti, tra cui infermiere all’obitorio e donatore di sperma, con cui Maurizio si è mantenuto prima di diventare artista. D’altra parte sfuggire alla condanna del lavoro è uno dei temi portanti della sua carriera che si inaugura con una mostra chiusa al pubblico e il cartello «Torno Subito» appeso alla porta. «Lavorare stanca», diceva Pavese. «Lavorare è un brutto mestiere», ribatte Cattelan intitolando così il suo intervento alla Biennale di Venezia del 1993, per il quale affitta il suo spazio espositivo a un’agenzia pubblicitaria in cambio di un po’ di soldi con cui fuggire a New York a rifarsi una vita.

Per ormai più di vent’anni, tra fughe da fermo, scioperi e baby pensioni, Cattelan ha trasformato in arte l’Italia degli assenteisti e dei falsi invalidi: un’Italia neorealista e corrotta, ancora con le mani sporche, in cui si è tutti allo stesso tempo colpevoli e innocenti, e in cui tutti tengono famiglia.

Della famiglia Cattelan ho fatto parte anche io almeno dal 1998, quando ci siamo conosciuti negli uffici di «Flash Art». Per piu o meno otto anni, ho prestato a Cattelan parole e faccia, diventandone l’alter ego e la voce, rispondendo a centinaia di interviste al suo posto, rilasciando dichiarazioni, firmando i suoi scritti e comunicati stampa, dando presentazioni a convegni, lezioni e conferenze. Impostore, portavoce, ufficio stampa, critico militante, collaboratore, complice e confessore, questi e tanti altri sono stati i ruoli che ho interpretato in quella messa in scena che è l’arte di Cattelan. Come per il grande sociologo Erving Goffmann, per Cattelan la vita quotidiana è rappresentazione: un teatro, spesso della crudeltà, nel quale i ruoli e le maschere che interpretiamo nella vita di tutti i giorni sono portati in scena e scambiati di posto. «Maschere nude» le chiamava Pirandello che, come Cattelan, aveva capito che il sè non esiste se non nello specchio dell’altro, nel continuo traffico di ruoli e percezioni che costruiscono la nostra identità non come un nucleo indissolubile di soggettività ma come una parata di maschere. Quello di Cattelan, insomma, è il carnevale dell’anima. Quindi a chi mi chiede, come fa ora «Il Giornale dell’Arte», di raccontare il «mio» Cattelan, che cosa rispondere? Che di Cattelan, come di tutti noi, ce ne sono uno, nessuno e centomila?

Pare che a chi chiedesse ad Andrea Pazienza perché il suo personaggio Massimo Zanardi fosse cosi violento, il fumettista rispondesse che Zanardi era cattivo quanto un ripetitore Rai: era solo una replica della realtà. E cosi è anche Cattelan, ma la differenza più importante è che dall’opera di Cattelan non emerge alcuna realtà ma solo un’infinità di interpretazioni. Per questo Maurizio Cattelan riesce a incarnare ruoli diametralmente opposti: è riuscito a essere al contempo paragonato a un monaco che si libera di ogni possedimento terreno e a un narcisista miliardario in piena crisi di astinenza da celebrità. Prende a sassate il papa eppure riesce a passare per un asceta. Come già nel caso di Duchamp e di Warhol, Cattelan è uno specchio sul quale si proiettano immagini, sogni e desideri e la qualità riflettente della sua opera è direttamente proporzionale al suo grado di ambiguità. E così a chi si indigna perché Maurizio è tornato a fare l’artista dopo aver dichiarato di voler smettere viene da rispondere parafrasando Bruce Nauman: l’artista aiuta il mondo non rivelando chissà quali verità mistiche ma dimostrando che tutto è una bugia.

 

Massimiliano Gioni, 02 maggio 2016 | © Riproduzione riservata

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