Gloria Gatti
Leggi i suoi articoliParliamo del caso OnlyFans (Corte di Giustizia Ue, sez. Grande, 28 febbraio 2023, causa C-695/20 [ECLI:EU:C:2023:127]) e se ve lo state chiedendo, no, non sono impazzita. OnlyFans, per i pochi che non lo sapessero, è un social network per adulti che si differenzia per le politiche non restrittive sui contenuti pubbli- cabili: in massima parte pornografici e marginalmente ludici (fitness, musica e cucina). La piattaforma è stata fondata nel 2016 dai fratelli Stokely ed è gestita su internet dalla Fenix International con sede a Londra. La fruizione in streaming di contenuti (foto, video e performance), caricati sui profili di una categoria di utenti definiti «creator», è venduta ai «fan», fruitori che per diventare «follower» sottoscrivono un abbonamento o versano «mance» per vedere in chiaro le immagini oscurate.
I gettoni del «postribolo 2.0» sono le carte di credito e i pagamenti vengono riscossi attraverso la piattaforma che dichiara (nelle condizioni generali di contratto) che la transazione si perfeziona direttamente tra il cliente/fan e il creator, al quale va l’80% degli importi pagati, mentre Fenix trattiene una commissione del 20%, su cui applica l’Iva al 20%. L’amministrazione tributaria e doganale del Regno Unito, non convinta, ha notificato alla Fenix degli avvisi di accertamento relativi all’Iva dovuta per il 2017-20, affermando che la società deve assolvere l’imposta sulla totalità della somma versata da un fan e non soltanto sul 20% di essa.
La questione è stata decisa lo scorso febbraio dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (Cgue), la quale ha stabilito che: «quando un soggetto passivo, che interviene nella prestazione di un servizio tramite mezzi elettronici, sfruttando ad esempio una piattaforma di social network online, ha la facoltà di autorizzare la prestazione di tale servizio o la fatturazione di quest’ultimo o ancora di fissare le condizioni generali di tale prestazione, detto soggetto passivo ha la possibilità di definire in modo unilaterale elementi essenziali relativi alla prestazione, vale a dire la sua realizzazione e il momento in cui essa avrà luogo, o le condizioni in base alle quali il corrispettivo sarà esigibile o, ancora, le norme che formano il quadro generale di tale prestazione. In tali circostanze, e tenuto conto della realtà economica e commerciale che esse rispecchiano, è corretto che il soggetto passivo debba essere considerato il prestatore di servizi, ai sensi della direttiva Iva».
Nel settore dell’arte, un’identica questione è attualmente sub iudice davanti a un Tribunale Commerciale europeo in una causa tra una nota artista italiana e un importante marketplace di arte contemporanea attivo nel primo mercato. Anche in questo caso il marketplace, dichiarando nelle condizioni generali di contratto che la transazione viene perfezionata tra collezionista e artista, emette fattura con applicazione dell’Iva solo per la sua quota e non per l’intero importo.
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