Umberto Allemandi e Michele Coppola
Leggi i suoi articoliDopo aver fatto l’editore a tempo pieno per 68 dei miei 87 anni ho deciso di smettere. Sessantotto anni sono due vite intere di lavoro. Mi sento un po’ come «L’uomo che visse due volte» che era il titolo di un film (l’uomo in verità era una donna, Kim Novak, della quale mi ero incapricciato). Perciò ora affido questo giornale e la casa editrice che avevo fondato 42 anni fa (dopo averne dirette altre due durante 23 anni, Bolaffi prima e Bolaffi Mondadori dopo) in mani sicure che hanno la volontà e i mezzi per sviluppare e potenziare i progetti editoriali che abbiamo predisposto e a cui ci siamo dedicati per oltre mezzo secolo.
Sono stato fortunato. Le tre istituzioni che subentrano sono quanto di meglio si possa immaginare: Intesa Sanpaolo, Fondazione 1563 per l’Arte e la Cultura della Compagnia di San Paolo e Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo. Tutte e tre hanno posto la cultura al vertice dei loro scopi. Ricordo un discorso di Carlo Messina, amministratore delegato di Intesa Sanpaolo, agli industriali piemontesi ai quali si contrapponeva insistendo sulla prevalenza della cultura quale requisito principale degli sviluppi futuri del Paese.
Una sintesi? «Il Giornale dell’Arte» esiste da 42 anni. È un tempo troppo lungo da raccontare. E in fondo a chi potrebbe davvero interessare? Talvolta, quando visito una mostra o un museo, mi scappa un commento tipo: «de Chirico (oppure Miró oppure Dalí) mi aveva detto...» e qualcuno che mi sente si gira e mi guarda stralunato. Nei suoi occhi leggo incredulità: «Ma che cosa s’inventa questo qui?». Uso il plurale perché vorrei che fosse chiaro che questo è un lavoro di squadra. Nel nostro caso, è il lavoro di una redazione eccezionale. In due parole credo di poter dire che abbiamo sempre fatto decentemente il nostro lavoro di giornalisti, di avere raccontato quasi tutti i fatti principali avvenuti in Italia e nel mondo in questi decenni e che a nessuno con un qualche potere finanziario o ideologico o politico (quest’ultimo l’abbiamo sempre considerato effimero) sia mai stato consentito dettare una sola riga di ciò che abbiamo scritto.
Insomma, abbiamo sempre cercato di essere onesti e, bene o male, tutto ciò che abbiamo fatto ce lo siamo inventato e non l’abbiamo mai copiato. Per esempio abbiamo inventato un «giornale», ben diverso da una «rivista», che nell’arte non c’era mai stato prima. Un giornale che fosse degno dei professionisti che ci leggono. Una rivista è libera di scegliere ciò che vuole. Un giornale è obbligato a non ignorare ciò che è avvenuto. Poiché credevamo che l’arte sia senza frontiere, siamo riusciti a portare un po’ del mondo in un’Italia che allora era troppo chiusa in sé stessa. Ma siamo anche orgogliosi di avere esportato un’idea italiana nel mondo: le altre edizioni di questo giornale che oggi si pubblicano a Londra e New York, a Parigi e a Mosca, in Cina e in altri Paesi. Avere esportato un modello di giornale che prima non c’era è un primato giornalistico italiano. Tutto sommato è un risultato imprenditoriale che non era ancora riuscito a nessun’altra testata italiana. Ed è molto probabile che il materiale che abbiamo raccolto in queste pagine sia unico al mondo. Un piccolo patrimonio senza prezzo, che forse renderà più comodo scrivere una storia dell’arte del nostro tempo.
Temo di aver concesso troppo alle vanterie e vi prego di scusarmi: ma se non lo faccio in questo commiato non lo farò mai più. Soprattutto ci tengo a mettere in evidenza che abbiamo mantenuto quanto avevamo promesso nell’editoriale pubblicato nella prima colonna del primo numero nel maggio 1983. Vorrei rileggerlo dopo quasi mezzo secolo e 457 numeri pubblicati. Sono poche righe: «Un giornale deve servire. Un giornale serve per sapere. Sapere serve per capire. Capire serve per decidere».
Mi accorgo che avevo dimenticato una parola: servire a chi? «Servire ai lettori». E magari anche un po’ alla storia dell’arte. Lo spero dopo aver letto, corretto e intitolato prima di stamparle, «giorno dopo giorno» come avrebbe detto il nostro caro primo amico e sostenitore Federico Zeri, quasi tutte le 50mila pagine che abbiamo pubblicato.
Umberto Allemandi
Un pezzo di storia editoriale
Come si può immaginare, in un momento storico come questo non è semplice mettere insieme una Banca, la più importante in Italia, e due Fondazioni di origine bancaria che insistono sul medesimo territorio in un’iniziativa di questa natura. È quindi un grazie sincero quello che rivolgo a chi ha deciso l’acquisizione della Società Editrice Allemandi, a partire da Carlo Messina, ceo di Intesa Sanpaolo, Alberto Anfossi, segretario generale di Compagnia di San Paolo, Roberto Giordana, direttore generale di Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo, e i rispettivi presidenti.
Voglio ringraziare anche i molti professionisti che ci hanno affiancato e nei quali ho riconosciuto una motivazione che non era solo professionale, una motivazione che metteva in fila un attaccamento a una storia, un attaccamento al lavoro condiviso negli anni, un attaccamento a un uomo, Umberto Allemandi.
Nel nostro Archivio Storico sono conservati scambi di lettere e documenti relativi a volumi Allemandi di straordinaria qualità dedicati alle raccolte d’arte dell’allora Banca Commerciale Italiana, collezioni che oggi nella stragrande maggioranza dei casi sono ospitate nella sede milanese delle Gallerie d’Italia. Nella storia del nostro Gruppo, c’è un pezzo significativo dell’avvio del lavoro di Umberto Allemandi insieme a 150 prime pagine di «Il Giornale dell’Arte», a riprova di quanto fosse importante leggere quel mensile. Per quale motivo una banca insieme a due fondazioni decide di compiere un passo aggiuntivo rispetto al restauro e alla trasformazione di palazzi storici, all’apertura di quattro sedi museali, all’organizzazione di mostre temporanee, alle attività formative con l’Academy, alle sponsorizzazioni e alle partnership nel mondo culturale, acquisendo una casa editrice? Perché si rende perfettamente conto di quella responsabilità che oramai ha assunto e che, avvertita in maniera sincera e profonda, consente di capire che la storia di Umberto Allemandi e la storia della Società Editrice Allemandi non potevano essere lasciate a una fusione, magari con qualche altra realtà analoga, oppure a un’acquisizione, magari di qualche realtà non italiana.
In questi anni abbiamo lavorato con tanti editori (ringrazio Massimo Vitta Zelman e la casa editrice che ci ha accompagnato fin qui, Skira) e abbiamo capito il valore di scegliere un solo editore. Ci siamo resi conto che noi eravamo ben più di un committente di cataloghi. Per sgombrare il campo da equivoci, voglio sottolineare che abbiamo scelto di investire in una realtà qualificata come Allemandi perché ne riconosciamo la storia e il ruolo svolto in questi 40 anni sia come casa editrice sia come editore libero. La solida composizione del Consiglio di Amministrazione è la dimostrazione di come i nuovi investitori intendono proseguire: con me, Enrica David, responsabile delle operazioni societarie straordinarie di Intesa Sanpaolo, Fabrizio Paschina, direttore della Comunicazione del Gruppo, Laura Fornara, segretario generale della Fondazione 1563, Giulia Scagliarini, dell’area Finanza di Compagnia di San Paolo, Enea Cesana, responsabile delle Attività Istituzionali di Fondazione Cr Cuneo, e Luigi Cerutti, amministratore delegato della Società Editrice Allemandi.
Le opinioni che ho chiesto a colleghi stimati della Direzione Arte e Cultura sottolineano tutte che Allemandi, con le sue scelte editoriali e le sue celebri monografie, ha segnato una tappa importante nella formazione di numerosi storici e appassionati. Nel segno di questa continuità, rivolta all’eccellenza e al rigore scientifico, si apre una nuova fase in cui si fondono tradizione e innovazione. Le pubblicazioni dovranno continuare nel rispetto del passato e al contempo aprirsi a un mondo curioso e competente, con edizioni internazionali facilmente consultabili e competitive economicamente. Dei tanti messaggi in merito a «ll Giornale dell’Arte» che mi sono arrivati in questi giorni mi fa piacere condividere questo: «L’autorevolezza e la completezza di informazioni sono sempre state un fiore all’occhiello di “Il Giornale dell’Arte” rendendolo un innovativo strumento di formazione e informazione. Il giornale ha svolto tradizionalmente un ruolo importante, non solo nell’aggiornamento dei professionisti già affermati, ma anche nei percorsi dei giovani studenti universitari che si approcciano al mondo dell’arte». Quando si acquisisce un’azienda, se ne acquisisce la storia, se ne acquisiscono le vite, le preoccupazioni, le ambizioni delle persone che ci lavorano. Non abbiamo nessun dubbio rispetto a quanto abbiamo fatto.
[Tratto dal discorso tenuto in occasione della presentazione della nuova Società Editrice Allemandi alle Gallerie d’Italia di Torino, mercoledì 11 dicembre 2024]
Michele Coppola