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Hydria a figure nere, ca 520 a.C., Londra, British Museum

© The Trustees of the British Museum

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Hydria a figure nere, ca 520 a.C., Londra, British Museum

© The Trustees of the British Museum

Il potere delle immagini nella vita di Greci e Romani

Tonio Hölscher approfondisce il fenomeno della cultura visiva nel contesto antico di strade, piazze, monumenti, statue e rilievi

Francesca Ghedini

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Il saggio di Tonio Hölscher è un contributo importante agli studi di storia dell’arte e della società antica: solo uno studioso della sua statura poteva muoversi con disinvoltura fra le nuove linee di ricerca, indicando al contempo la strada per il futuro della disciplina. La cultura visiva nel mondo greco e romano non è un libro sulla «visual art», i cui contenuti si focalizzano principalmente sul rapporto fra immagine e spettatore e sulla capacità dell’immagine di comunicare un messaggio, ma è un libro sul potere performante che le deriva principalmente dal contesto in cui essa è inserita; un contesto che è una sorta di palcoscenico fatto di strade e piazze, di monumenti, statue e rilievi, che attraverso la reciproca integrazione contribuiscono a definire la società che di esse si serve. 

E allo spazio è dedicato il primo densissimo capitolo, che si muove fra Grecia e Roma, fra santuari e aree pubbliche: ricostruendo e analizzando percorsi e prospettive, l’autore pone in evidenza la funzione sociale e religiosa della visualità. L’esemplificazione parte, e non poteva essere altrimenti, dal più famoso dei santuari greci, l’Acropoli, all’interno del quale la distribuzione degli edifici non segue, come è ovvio e naturale, una progettazione unitaria, ma si sviluppa nel tempo, a seconda delle esigenze di coloro che alla rocca avevano attribuito il valore sacrale di simbolo della città. Il risultato è un complesso di vedute, funzionali a definire un messaggio che prima ancora che religioso è espressione dell’orgoglio cittadino. Gli aspetti della percezione sono ben analizzati anche a Olimpia, dove la messinscena delle architetture monumentali veniva completata dalle immagini, disposte secondo regole ben precise che davano il giusto risalto alle statue degli atleti, posizionate in modo da essere destinatari e partecipi delle cerimonie sacre. Fondamentale, infatti, per la comprensione del significato che gli antichi attribuivano alle statue, è l’analisi della loro localizzazione: nei santuari, negli spazi pubblici, negli edifici di spettacolo, nelle residenze private. Per ciascuna di queste destinazioni vi erano regole, limiti, imposizioni, perfino leggi; esisteva infatti una convenienza fra soggetto raffigurato e localizzazione, che poteva condizionare anche la scelta dello schema iconografico. 

Gli strumenti per la ricostruzione del contesto all’interno del quale l’immagine viveva sono di diversa natura: accanto alle testimonianze archeologiche e alle fonti letterarie (in primis, per i santuari greci, Pausania), ci sono rilievi storici e monete, utili soprattutto per visualizzare le prospettive dello spettatore antico, che dall’insieme di monumenti e apparati decorativi percepiva la grandezza del presente e l’importanza di un passato che era connaturato alla memoria stratificata di ciascuno. E la memoria costituisce l’oggetto del secondo e consistente capitolo, che indaga le modalità con cui la tradizione contribuisce a formare la coscienza collettiva. Fondamentali sono le pagine in cui l’autore illustra il metodo utilizzato e definisce i vari tipi di esperienza e percezione della tradizione, distinguendo fra «bagaglio culturale», che consiste in un «insieme di abitudini, modelli di comportamento e norme etiche, anonimi e senza tempo», e «memoria storica», che è costituita da «eventi specifici o unici e singoli attori e risultati storici». La ricca esemplificazione che viene proposta spazia fra Grecia e Roma; il passato mitico di Atene, ad esempio, costituito da personaggi come Cecrope, Eretteo, Teseo, si coniuga con il passato recente (le guerre persiane) ed è definito da luoghi e immagini. Analogamente a Roma le tracce del periodo regio sono annodate con le memorie della fase fondante della repubblica. 

Una veduta del Partenone ad Atene

Dopo spazio e tempo (inteso come memoria), l’attenzione si sposta sui protagonisti. Superando l’annoso dibattito fra ritratto intenzionale, tipologico e individualizzato, Hölscher passa ad analizzare le diverse forme di riproduzione delle fattezze individuali e le modalità con cui il creatore di un’immagine si rapportava ad esse. Queste le sue parole: «L’autenticità dell’aspetto fisico non è più considerata una priorità della ricerca. Quello che è importante in un ritratto non è la forma della fronte o del naso, ma piuttosto l’habitus culturale dell’effigiato e come questo venga espresso dall’acconciatura e dall’espressione del volto, intenzionalmente modellato in un certo modo». Anche in questo capitolo largo spazio è conferito al contesto in cui l’immagine era collocata, fondamentale per la comprensione del suo significato in chiave di formazione della memoria storica. Merita di essere sottolineato in questo approccio che rende ragione della fortuna della ritrattistica nell’ambito del messaggio politico, il raffronto con l’oggi in cui la cultura visiva è determinante nel formare ideologie e fortune politiche. 

In un saggio dedicato alla visualità nel mondo antico non poteva mancare una riflessione circa il rapporto fra immagine e realtà e fra immagine e tradizione letteraria. Per quanto riguarda il primo aspetto è evidente che nel processo di formazione dell’immagine c’è sempre una rielaborazione che oscilla fra mimesis e idealizzazione: «l’arte, in sostanza, non è un duplicato del mondo reale, ma traduce forme significative della realtà (forme cioè funzionali al contesto, storico, politico, culturale, a cui sono destinate, Ndr) in forme significative di arte». Per quanto riguarda il rapporto con i testi, si sottolineano le caratteristiche di ciascun medium comunicativo: più incisiva e immediata l’immagine che però per essere compresa ha bisogno di uno spettatore che ne condivida i codici comunicativi, più articolata e completa la narrazione attraverso la parola, che può ricostruire storie comprensibili anche da chi non possiede il medesimo sostrato culturale. Ma, mentre la parola, parlata, cantata o scritta, può prescindere dallo spazio che la circonda perché in grado di ricrearlo attraverso l’illusione, l’immagine con quello spazio non solo dialoga ma contribuisce a plasmarlo, divenendo parte del significato che lo spettatore «introietta» e rielabora in modo quasi automatico. Questo e molto altro nel denso saggio di Tonio Hölscher dedicato al Visual Power (questo il titolo originale), che costituirà un punto fermo negli studi della cultura visiva. Un libro per studiosi e amatori del mondo antico, curiosi o appassionati dei processi formativi del linguaggio dell’arte, di piacevole, se pur impegnativa lettura, grazie all’ottima traduzione di Luisa Castellani.

La cultura visiva nel mondo greco e romano. Tra arte e vita sociale
di Tonio Hölscher, traduzione di Luisa Castellani, 496 pp., 196 ill. b/n, Carocci, Roma 2024, € 49 

La copertina del volume

Francesca Ghedini, 31 maggio 2025 | © Riproduzione riservata

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