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La Storia dell’Arte grande assente nella riforma Franceschini

La Storia dell’Arte grande assente nella riforma Franceschini 

Silvia Ginzburg

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Pubblichiamo il discorso introduttivo di Silvia Ginzburg alla giornata di studi tenutasi il 2 maggio presso l’Università Roma Tre, Dipartimento di Studi Umanistici, con il titolo «La storia dell’arte e la riforma Franceschini: ragioni di un conflitto» e il sottotitolo «Un pomeriggio per riflettere sul nesso che ha legato fin dalle origini gli studi di storia dell’arte alle politiche di conservazione e tutela del patrimonio artistico italiano e per esaminare le allarmanti prospettive disegnate dalla riforma in atto»

Ringraziamo gli storici dell’arte che generosamente hanno voluto essere presenti qui oggi, e ringraziamo i molti che avrebbero desiderato fare la stessa cosa e che tuttavia non trovate menzionati nel programma: storici dell’arte che lavorano nell’amministrazione, e che proprio per questo hanno dovuto declinare il nostro invito a partecipare attivamente a questa occasione di riflessione collettiva su un tema che pure suscita il loro vivo interesse e che è evidentemente di loro squisita pertinenza: il rapporto tra la loro disciplina e una legge che saranno innanzi tutto loro a dover applicare, in un certo senso il rapporto tra la loro professionalità e la loro professione.

Non parte bene una riforma che volendosi radicalmente rifondativa non ha previsto nella sua elaborazione e nelle prime fasi della sua applicazione l’apporto dei funzionari che sono chiamati ad applicarla; parte peggio un riformatore che oltre ad ignorare pareri e feed back di chi da decenni conosce la materia in esame, adotta un controllo censorio sull’espressione delle preoccupazioni suscitate dai rischi che il nuovo sistema può presupporre. Del resto chi di noi si fiderebbe di farsi mettere in casa un impianto a gas da un tecnico che non avesse indagato a fondo con i suoi responsabili i possibili rischi del sistema medesimo? 

Tuttavia la domanda su cui vorremmo riflettere non riguarda solo la riforma: come indica il titolo della giornata di studi, il tentativo è di esaminare le ragioni di un conflitto, di cui queste assenze indesiderate sono l’espressione più umiliante, per chi le ha subite e per chi le ha fatte subire, ma non certo la sola. La domanda riguarda oggi gli storici dell’arte perché è della loro disciplina, prima che di loro individui, la competenza che con questa riforma viene esautorata. 

Se nella pratica di quella che oggi si chiama «gestione del patrimonio artistico italiano» la possibile collaborazione di competenze diverse tra architetti, archeologi, restauratori e storici dell’arte è diventata programmatica esclusione di questi ultimi, se più di loro servono oggi i «comunicatori», la responsabilità è anche nostra. Non si può vivere dando la colpa agli altri, e in questo caso saremmo noi doppiamente colpevoli se lo facessimo. 

Qualcosa è infatti accaduto alla storia dell’arte, che ha permesso una simile espropriazione, con le derive che ne sono seguite: ed è qualcosa che ha a che fare con la rinuncia che si vede avanzare, non certo da oggi, a studiare e ben conservare e tutelare, e perciò valorizzare, le opere d’arte nel rapporto con i loro contesti storici (siano questi identificabili con la loro destinazione originaria o frutto di passaggi successivi, fino al museo) utilizzando gli strumenti della filologia, che la storia dell’arte ha scelto fin dalle sue origini di fare propri. 

È nel testo fondativo della nostra disciplina, è nelle Vite di Giorgio Vasari, la più chiara enunciazione della posizione centrale che, in una materia alla quale per la prima volta si voleva dare dignità storica, viene ad avere l’indagine filologica del rapporto tra il testo figurativo e il suo contesto. Per questo una legge che trascuri di proteggere, quando non deliberatamente recida, questo nesso è di fatto l’esito di un fallimento della nostra disciplina, ed è dunque materia di cui è necessario parlare nelle aule universitarie dove tale disciplina si insegna; perché la rinuncia alla conoscenza della specificità linguistica dei testi figurativi, la rinuncia allo studio dello stile come tratto distintivo nel quale consiste il rapporto storicamente determinato tra un oggetto e il suo contesto, è una delle cause delle allarmanti prospettive che questa riforma apre davanti ai nostri occhi. Per questo abbiamo invitato alcuni studiosi a presentare qui dei casi in cui la storia dell’arte abbia esercitato gli strumenti della propria filologia per indagare, ricucire, tutelare il rapporto tra le opere e i loro contesti: è questo per noi il modo di garantirne la gestione, la valorizzazione, e anche la comunicazione, se ci si tiene.

Silvia Ginzburg, professore ordinario di Storia dell’Arte moderna, Università Roma Tre

 

Silvia Ginzburg, 07 giugno 2016 | © Riproduzione riservata

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