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Gianfranco Meggiato, «Verso La Liberta».

Credits Federico Di Dio.

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Gianfranco Meggiato, «Verso La Liberta».

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La scultura di Meggiato incontra Giotto a Padova. Intervista a Jon Wood

Jon Wood racconta la mostra diffusa «Il Bacio di Giuda», dove la scultura di Meggiato interpreta la plasticità degli affreschi giotteschi. Le opere dialogano con lo spazio urbano e coinvolgono lo spettatore, riflettendo su materia, energia e percezione nella scultura contemporanea

Carlino Corezzi

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Storico dell’arte di fama internazionale e tra i massimi esperti di scultura moderna e contemporanea, Jon Wood ha collaborato con alcune delle più prestigiose istituzioni europee, tra cui l’Henry Moore Institute, la Whitechapel Gallery, l’Arts Council e la British Library, oltre al Getty Research Institute di Los Angeles. Curatore e studioso di grande rilievo, ha lavorato con importanti artisti come Antony Gormley, Tony Cragg, Richard Deacon e Anish Kapoor, nonché su grandi mostre dedicate a maestri del XX secolo come Brancusi, Giacometti e Paolozzi. Forte di questa straordinaria esperienza, Wood arriva ora a Padova al fianco di Nicola Galvan come curatore della mostra diffusa «Il Bacio di Giuda. Il ritorno alla plasticità. Gianfranco Meggiato: Omaggio a Giotto» (2 ottobre 2025 – 31 marzo 2026). Questo inedito progetto di arte pubblica instaura un dialogo tra la rivoluzione figurativa di Giotto e la scultura monumentale di Gianfranco Meggiato, attraversando il centro storico e le periferie con quattordici opere collocate in alcuni dei luoghi più vitali della città. Abbiamo intervistato Jon Wood per approfondire il significato di questo confronto tra antico e contemporaneo, spiritualità e materia, memoria e futuro.

Il progetto «Il Bacio di Giuda» mette in dialogo la scultura contemporanea con la rivoluzione figurativa di Giotto nel XIV secolo. Cosa significa per lei questo confronto tra antico e presente?
È sempre interessante osservare e riflettere sull’arte contemporanea accanto a opere storiche. Oggi esistono molte esposizioni che accostano antico e moderno, con sculture collocate dentro e fuori edifici storici (spesso dotati di proprie collezioni d’arte). Tuttavia, questo «viaggio nel tempo» può essere problematico e la parola «dialogo» non è forse la più appropriata, poiché la conversazione artistica tra vivi e morti è inevitabilmente a senso unico, retrospettiva. Raramente esistono «preoccupazioni condivise», anche se possono nascere connessioni affascinanti negli spazi che separano opere di epoche diverse.
Gianfranco Meggiato ha accolto molto seriamente l’invito a creare una scultura in risposta all’opera di Giotto. Realizzare una scultura in relazione a un dipinto preesistente è già di per sé difficile, e ancor più se si tratta di un affresco universalmente celebre come quello di Giotto nella Cappella degli Scrovegni! È, come dice il sottotitolo dell’opera, un «Omaggio a Giotto». I due punti centrali della sua attenzione sono stati il bacio di Giuda – quel potente momento di tradimento e rivelazione – e la celebre plasticità degli affreschi giotteschi, che non può non affascinare uno scultore. Meggiato utilizza le sue tipiche forme scultoree per creare una versione semplificata e stilizzata dei momenti chiave dell’affresco di Giotto. Ci offre anche un’opera che può essere vista «a tutto tondo», generando così punti di vista impossibili nel dipinto originale e segnalando fin dall’inizio il ruolo dell’immaginazione (la sua e la nostra, come spettatori) nell’esperienza dell’opera. Ci porta «dietro» l’immagine, invitandoci a immaginare anche oltre. Il ritorno alla plasticità è un sottotitolo interessante per questa mostra: richiama sia una riflessione sull’approccio e sui risultati di Giotto, sia un’affermazione sul ruolo della scultura oggi.

Gran parte della sua carriera è dedicata allo studio e alla curatela della scultura moderna e contemporanea, lavorando con artisti come Gormley, Cragg e Deacon. In che modo questa esperienza ha influenzato la sua interpretazione delle opere di Meggiato?
Ho sempre apprezzato lavorare a stretto contatto con diversi scultori, ciascuno con un approccio e un linguaggio personale. Sono stato molto fortunato in questo senso, e ho imparato molto su ciò che la scultura può offrire. Meggiato non è uno scultore figurativo, ma gran parte del suo lavoro è pervasa dai movimenti e dalle energie del corpo. Esprime questa dimensione corporea attraverso forme e composizioni curvilinee. Questo potrebbe collegarlo maggiormente alla scultura di Tony Cragg, più che a quella di Antony Gormley o Richard Deacon. Mi hanno colpito sin da subito le sue composizioni elaborate – in opere come «Concept of Spatial Synchronicity» e «Germination» – e il modo in cui attraggono e mantengono l’attenzione dello spettatore. Quando le sculture sono di grandi dimensioni e collocate all’aperto, come a Padova, la questione diventa come queste energie scultoree possano interagire al meglio con l’architettura, le piazze e gli spazi verdi.
Meggiato, come molti scultori, realizza opere autonome ma sensibili al contesto. Ama applicare colore alle superfici – solitamente bianco, nero o rosso – per accentuarne l’indipendenza. Allo stesso tempo, l’uso di superfici lucidate riporta nell’opera il riflesso dell’ambiente circostante, creando profondità illusoria. Questo equilibrio tra indipendenza e coabitazione è molto significativo qui a Padova.

Nella presentazione stampa ha dichiarato che «Meggiato ci ricorda come il bacio sia un tema centrale nella storia della scultura moderna, e lo reinterpreta come gesto di intimità e tradimento, ridando vita alla plasticità nei punti di contatto tra le figure». Come definirebbe questi «punti di energia»?
È interessante notare come il tema del bacio ricorra nella scultura dei secoli XIX e XX. È un soggetto perfetto per esprimere forme congiunte e unione materiale, sia che si tratti di un unico blocco (come pietra o legno), sia di un insieme costruito di più parti. Pensiamo naturalmente a opere di Auguste Rodin e Constantin Brancusi, che hanno catturato in modi diversi l’intimità e la fusione umana e materica.
La scultura di Meggiato «Il Bacio di Giuda / Omaggio a Giotto» si fonda su quei punti di contatto cruciali dell’affresco giottesco. Qui conta lo spazio carico di tensione tra gli oggetti,  pieno di sospensione e attesa. Invita lo spettatore a immaginare quell’attimo fuggente, colto un istante prima del contatto fisico. Questi «punti di energia» sono fondamentali nell’opera di Meggiato e talvolta si manifestano come sfere lucide. È un artista che ha sviluppato una propria lettura personale delle sue opere, al tempo stesso simbolica, spirituale e scientifica. Per lui la scultura può simboleggiare il viaggio emotivo dell’essere umano, con i suoi alti e bassi, le sue speranze e i suoi sogni. Ha anche un profondo interesse per la fisica quantistica, e considera la materia come materia ed energia: questo gli permette di esplorare forme non immediatamente riconoscibili. Ciò detto, non realizza modelli matematici o oggetti dimostrativi scientifici, ma sculture ispirate da tali idee. In fin dei conti, Gianfranco è un «maker», un artigiano colto, e non si vergogna di saper creare opere ben fatte, ben rifinite e dense di significato.

Gianfranco Meggiato, «Germinazione». Credits Federico Di Dio

Nella sua prestigiosa carriera ha curato mostre in contesti molto diversi. Questa mostra si sviluppa nello spazio urbano, tra centro e periferia. Che tipo di relazione nasce tra scultura monumentale e vita quotidiana dei cittadini che le incontrano per caso, all’aperto e non nei musei?
Colpisce molto il fatto che le quattordici opere siano distribuite in tutta la città, dalle periferie al centro storico. Questo consente a più persone di convivere con le opere, trovandole inserite in ambienti diversi. È una mostra fuori dalle mura del museo e della chiesa, all’aria aperta, visibile e accessibile a tutti. Le sculture diventano interventi sorprendenti nella vita frenetica della città e dei suoi abitanti. Hanno il potere di cambiare il modo in cui le persone vedono e vivono Padova – invitandole a riflettere sui suoi materiali, le architetture, i punti di vista abituali – e a lasciar volare l’immaginazione. Possono anche indurre a pensare in modo diverso rispetto al tempo: non solo al passato in relazione al presente, ma anche al momento fugace, rallentando o accelerando la nostra percezione mentre sostiamo davanti alle opere. Una delle sculture, «Shell Sphere», collocata sul percorso che conduce alla Cappella degli Scrovegni, può essere toccata e ruotata a mano, portando lo spettatore direttamente nella sua orbita. È realizzata in bronzo lucidato e patinato, e cattura la luce in modi affascinanti durante la rotazione. Le sculture di Meggiato uniscono la scala umana alla suggestione di forze e spazi che la trascendono. Si innalzano verso l’alto con un’energia verticale e ascendente. Spesso evocano speranza e aspirazione, ma anche un movimento di crescita spiraliforme. Queste idee si adattano perfettamente a Padova – in sintonia con la sua storia culturale e, al tempo stesso, come risposta alla sua gravità storica. Le sculture di Meggiato portano luminosità e leggerezza alla materia pietrosa e antica della città.

Molti dei suoi studi si sono concentrati sul tema dell’artista e del suo atelier. Come descriverebbe il modo di lavorare di Meggiato con i materiali e i concetti scultorei?
Ho visitato l’atelier di Meggiato un paio di volte quest’anno e ho visto come lavora lui (insieme ai suoi assistenti). Ha un ottimo team e una struttura notevole – necessaria per il tipo di scultura di alta qualità che produce. Le opere iniziano in cera, prima di essere fuse in bronzo o alluminio. Queste forme modellate a mano conferiscono alla scultura un carattere manuale fin dall’inizio. La finitura gioca un ruolo cruciale: la sua attenzione alle superfici è notevole. Spesso in una stessa scultura si trovano pittura, patinatura e lucidatura, con esterni riflettenti e interni più scuri. Questo corrisponde alla sua idea di condurre lo sguardo dello spettatore dalla superficie dell’opera verso le sue forme interne – un viaggio verso il centro delle cose.

Lei ha studiato e discusso la scultura contemporanea per decenni, assistendo alle sue evoluzioni e crisi. Qual è, secondo lei, la principale sfida che la scultura deve affrontare nel mondo digitale di oggi?
Le sfide riguardano sia gli scultori stessi, sia la scultura come forma d’arte in generale.
È importante ricordare che, osservando una scultura (specialmente all’aperto), dovremmo considerare quanto costa in termini di materiali, produzione, trasporto, conservazione, spazio di deposito, tempo e lavoro. La scultura, in particolare quella monumentale, è costosa, e gli artisti investono molto delle proprie risorse e del proprio tempo. Credo che stiamo vivendo un momento molto stimolante per la scultura, con una grande varietà di approcci ai materiali, ai processi e alle modalità espositive. In effetti, molta dell’«arte contemporanea» oggi sembra avere qualità fortemente scultoree, anche nel cinema, nella fotografia e nella performance. Tuttavia, gli stessi strumenti che hanno reso possibile questa varietà — internet, fotografia digitale, programmi di modellazione e replica — portano con sé nuove sfide. Semplificando: una scultura che funziona bene in fotografia non è necessariamente una buona scultura; una scultura progettata solo al computer, senza contatto con la materia, non è necessariamente una buona scultura; la scelta consapevole e responsabile dei materiali è una questione cruciale; infine, una scultura che attinge solo a riferimenti limitati o mode passeggere rischia di perdere la sua autenticità. Una delle forze più grandi della scultura è la sua capacità di comunicare un’urgenza «nel mondo», che può portarci oltre l’oggetto materiale, verso altre idee, visioni e azioni

Gianfranco Meggiato, «Il Bacio di Giuda». Credits Federico Di Dio

Carlino Corezzi, 27 ottobre 2025 | © Riproduzione riservata

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