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Alfredo Bellandi
Leggi i suoi articoliAlla ricerca del naturalismo totale, da Brunelleschi a Donatello, la scultura lignea del ’400 è impreziosita da raffinate policromie e da un sorprendente polimaterismo
Alcune recenti mostre, convegni e studi monografici hanno illuminato la vicenda della scultura lignea del Quattrocento in Italia. Dalla mappatura delle mostre è sorprendente sia rimasto escluso un luogo come Firenze, soprattutto rispetto all’interesse verso la scultura dipinta, in legno e terracotta, maturato a partire dagli anni Ottanta del Novecento con la mostra sulla scultura senese. È forse eccessivo parlare di sfortuna critica. A Margrit Lisner dobbiamo un’esemplare ricognizione sui crocifissi lignei fiorentini (Holzkruzifixe in Florenz und in der Toskana, Bruckmann, 1970, Ndr) e Alessandro Parronchi ebbe attenzioni precoci per la scultura in legno dipinto. Negli ultimi anni, l’interesse nei confronti dei crocifissi si è rinvigorito con nuovi studi. La vicenda della scultura lignea non è stata però mai complessivamente indagata. A Firenze, accanto alla qualificata e prolifica produzione di crocifissi, si intagliarono anche statue della Vergine, di santi, busti devozionali, statue al centro di polittici misti e statuette per l’arredo liturgico. È questa produzione che intende illustrare la mostra «Fece di scoltura di legname e colorì. La scultura del Quattrocento in legno dipinto a Firenze» alla Galleria degli Uffizi dal 21 marzo al 28 agosto, diretta da Eike Schmidt e ideata da Alfredo Bellandi e Antonio Natali. La mostra a cura, come il catalogo edito da Giunti, dello scrivente, è promossa dal Ministero dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo con le Gallerie degli Uffizi.
Brunelleschi «colorì di sua mano» (Manetti), il Crocifisso di Santa Maria Novella, un aspetto che indica come la policromia, al pari dell’intaglio, costituiva nel Quattrocento un elemento essenziale per raggiungere il naturalismo integrale; lo conferma il «Battista» ai Frari di Venezia, che indica il grande interesse di Donatello per il colore, un’opera fondamentale per la ricezione dei modelli fiorentini nell’Italia settentrionale. A fronte di alcuni episodi nei quali lo stesso scultore intagliò e fu il responsabile della policromia, ai pittori veniva affidata la stesura del colore, come attesta, in particolare, la bottega di Neri di Bicci, a cui si rivolgevano gli scultori per fare dipingere i loro lavori. Neri stese probabilmente il colore sulla «Santa Costanza» al Louvre, intagliata da Desiderio da Settignano, e il suo rapporto di collaborazione con don Romualdo da Candeli e Benedetto da Maiano è attestato nelle Ricordanze (il diario nel quale Neri di Bicci documenta, tra il 1453 e il 1475, l’attività della bottega ereditata dal padre, Ndr). Un episodio altissimo di interazione tra pittori e scultori si realizza nei polittici misti. L’altare Bernardi, già a Lucca, eseguito da Benedetto da Maiano e Filippino Lippi, e il «Tabernacolo di san Sebastiano», in Sant’Ambrogio a Firenze, dove collaborarono Leonardo del Tasso e lo stesso Filippino, sono lavori che hanno come modello l’Altare di san Sebastiano al Museo della Collegiata di Empoli di Antonio Rossellino e Francesco Botticini. Il «Tondo Doni» di Michelangelo attesta un altro significativo momento di collaborazione tra il celebre pittore e un esponente della più alta tradizione dell’intaglio ligneo fiorentino come Francesco del Tasso, che eseguì la straordinaria cornice.
Un aspetto particolare della scultura lignea è il polimaterismo: in alcune statue che consideravamo eseguite in legno, i restauri hanno svelato la presenza di altri materiali. Il polimaterismo donatelliano col quale lo scultore eseguì la «Maddalena» al Museo dell’Opera del Duomo di Firenze, è recuperato, nei suoi valori tecnico-espressivi, da Pollaiolo e Verrocchio: lo indica la «Maddalena» in Santa Trinita, ricavata da un tronco di salice con la parte posteriore in sughero e i capelli modellati, che, avviata da Desiderio da Settignano, fu terminata da Giovanni d’Andrea, un allievo del Verrocchio. La mostra illustra, inoltre, la produzione di crocifissi, eseguiti nell’ultimo quarto del Quattrocento dagli esponenti della più alta tradizione dell’intaglio ligneo fiorentino: Giuliano e Benedetto da Maiano, i Sangallo Giuliano e Francesco, i Del Tasso, Baccio da Montelupo. Nel racconto della scultura in legno dipinto si indagheranno anche le presenze «straniere» a Firenze. Nel 1457 è documentato in città lo scultore Giovanni Teutonico che veicolò esperienze d’oltralpe in Italia, nel segno di un naturalismo diverso da quello donatelliano. Tra i maestri d’oltralpe attivi in città, il commento al «San Rocco» di «Ianni Franzese» all’Annunziata, oggi riferito a Stoss, sintetizza il pensiero di Vasari sulla scultura lignea. Lo storiografo ammira «quel miracolo di legno (...) senza alcuna coperta di colore». Nel pensiero classicista, la scultura lignea era chiamata a esibire il materiale e non più a ricoprirlo con la policromia. I colori, sentenziò, in pieno Cinquecento, l’erudito Borghini, «non sono [de]gli scultori». Oggi che siamo sensibili verso i valori espressivi della scultura in legno dipinto, nessuno condividerebbe un giudizio simile.