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David Hockney

Science History Images/Alamy Stock Photo

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David Hockney

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L’eleganza «smodata» degli artisti

Il critico di moda Derek Guy mette in fila i protagonisti più «fashion», dall’eclettico David Hockney al «totem» Frida Kahlo, dai kimono di Georgia O’Keeffe alla stazzonata rispettabilità di Alberto Giacometti

Se si dovesse individuare il tema più significativo della moda del XX secolo, sarebbe lo spostamento dell’influenza sull’abbigliamento dagli individui con capitale finanziario a quelli con capitale culturale. Questo passaggio significa che le persone non guardavano più solo all’aristocrazia per orientarsi nel vestire, ma traevano ispirazione anche dai ribelli rocker, dagli operai, dai membri di vari gruppi giovanili controculturali, dai musicisti e dagli artisti. Questo ha reso lo stile più difficile da emulare. Le abitudini e le preferenze in fatto di abbigliamento della classe dirigente possono essere suddivise per colori, tagli e tessuti (anche perché tutti acquistavano i loro abiti dagli stessi sarti e il loro modo di vestire era regolato dal tempo, dal luogo e dall’occasione). Per i creativi, invece, la rottura delle regole è la norma. Molti artisti hanno anche quella misteriosa qualità chiamata «occhio». Tuttavia, il loro stile è fonte di ispirazione e gli scrittori continuano a cercare di capire che cosa renda le loro scelte di moda così affascinanti. Ecco dieci artisti il cui senso estetico si esprimeva anche attraverso il loro guardaroba.

David Hockney

L’eccentricità nel vestire funziona meglio quando si è più interessanti dei propri abiti. Ecco perché David Hockney è in grado di trattare le regole del vestire con tale disprezzo. L’artista è famoso tanto per i suoi abiti caotici quanto per i suoi dipinti. Ha fatto a pezzi i generi senza paura, abbinando felpe e scarpe da ginnastica con abiti sartoriali prima che questa combinazione diventasse un cliché della moda. Sotto la sua chioma di capelli biondi sbiancati si trovano spesso un paio di occhiali dalla montatura spessa, una floscia cravatta di maglia e calzini colorati, a volte abbinati, a volte no. Una volta un sarto di Savile Row chiese a Hockney come facesse a ottenere il suo look meravigliosamente sgualcito. Hockney rispose: «Non possiedo appendiabiti».

Andy Warhol. Foto: Bernard Gotfryd. American Photo Archive/Alamy Stock Photo

Andy Warhol

La sartoria classica americana era decaduta dopo la Seconda guerra mondiale perché era troppo legata all’establishment e nessuno voleva apparire come un difensore del Watergate. Eppure Andy Warhol sembrava spesso uscito da Brooks Brothers (fondata nel 1818, è il più antica azienda di abbigliamento degli Stati Uniti con sede in Madison Avenue, a Manhattan, New York, Ndr). Indossava abiti in seersucker con spalle naturali, blazer navy, papillon rossi e cravatte a righe con nodo tiro a quattro, polsini della giacca a due bottoni in stile Ivy accanto al suo orologio Cartier Tank e cappotti Waspy L.L. Bean in velluto su camicie button-down in tela Oxford. Forse ha sempre avuto un aspetto cool in questi abiti grazie al suo talento e alla sua personalità, o forse perché i suoi abiti erano un po’ stravaganti.

Duncan Hannah. Foto: Tony Cenicola/The New York Times/Redux/Eyevine

Duncan Hannah

Seduto nel suo appartamento di Brooklyn, Duncan Hannah è stato intervistato mentre indossava un maglione Yale blu navy, jeans in denim grezzo e un paio di mocassini in pelle marrone. «Ho praticamente ignorato l’avanguardia», ha detto. Sebbene stesse parlando dei suoi dipinti, lo stesso si può dire del suo guardaroba. L’artista, bello come un ragazzo, non si vestiva come il tipico pittore newyorkese tormentato, ma piuttosto come quella classe di americani dal sangue blu che si trova nelle pagine di John Cheever o Louis Auchincloss. Nonostante frequentasse ambienti della controcultura, Hannah assomigliava molto all’establishment americano di metà secolo, e lo faceva senza un briciolo di ironia.

Georges Braque. Cortesia Keystone/Hulton Archive/Getty Images

Georges Braque

Il mercante d’arte Daniel-Henry Kahnweiler considerava Georges Braque una sorta di dandy discreto. «Indossava abiti blu molto semplici, di un taglio del tutto particolare, che non ho mai visto», ha ricordato parlando dell’artista. Questi abiti erano una sorta di incrocio tra l’abbigliamento da lavoro francese e la sartoria britannica. Erano realizzati con materiali non ricercati, ma non c’era alcuna struttura sottostante, quindi si drappeggiavano come i «bleu de travail» che gli operai francesi indossavano nelle fabbriche. Il lavoro di un artista non è lo stesso di quello di un operaio, ma Braque si appropriò di alcuni pezzi e trasformò qualcosa di pratico in un’espressione creativa.

Georgia O’Keeffe. Cortesia Everett/Csu Archives. Everett Collection Inc/Alamy Stock Photo

Georgia O’Keeffe

Il guardaroba di Georgia O’Keeffe era improntato a un’ordinata sobrietà. Indossava pantaloni alla turca, kimono giapponesi a portafoglio e abiti monastici, quasi sempre in nero. Si affidava a sarti su misura come Kniže a New York per i tailleur pantalone neri e K.C. Chang a Hong Kong per i soprabiti lunghi fino al pavimento. Ha persino realizzato i propri abiti, come un vestito bianco e nero decorato con nastri ondulati, che a volte abbinava al suo caratteristico cappello a tesa larga. O’Keeffe voleva vestire in modo da distinguersi dagli altri, ma non necessariamente per scioccare le persone. Lo fece eliminando i colori e i dettagli, per concentrarsi sulla parte più importante di un abito: la silhouette.

Alberto Giacometti. Foto: Paul Almasy/Corbis/Vcg via Getty Images

Alberto Giacometti

Alberto Giacometti era uno dei pochi artisti della Parigi degli anni Cinquanta che portava ancora abiti su misura, anche quando era immerso nell’argilla. Spesso indossava un qualche tipo di colletto, se non una cravatta almeno una piccola sciarpa annodata in modo sbarazzino. Secondo il suo biografo, James Lord, l’artista indossava «l’abbigliamento della rispettabilità maschile», ma i vestiti erano sempre tagliati larghi, malconci e mai troppo stirati o tirati a lucido. Avevano una morbidezza invecchiata che impediva loro di sembrare borghesi. «L’abbigliamento di Alberto era talmente parte della sua personalità da sembrare quasi uno stato d’animo piuttosto che un vestito», ha scritto Lord. Il suo stile volutamente fatiscente ricordava a chi lo guardava che era ancora un artista.

Pablo Picasso. PopperFoto via Getty Images/Getty Images

Pablo Picasso

Nonostante la familiarità con la sartoria inglese, l’artista dava il meglio di sé quando era a casa, nascosto dagli occhi del pubblico. Era un convinto sostenitore dell’abbigliamento casual e ampio per sconfiggere il caldo dei luoghi mediterranei. Indossava pullover a righe larghe in stile bretone con pantaloni a quadri marroni in bouclé; polo in spugna rosso ciliegia ed espadrillas; camicie di lino bianco stropicciate con pantaloncini appena accennati. «Chi cerca di spiegare un’immagine, il più delle volte è sulla strada sbagliata», ha detto una volta. Il suo stile è la prova che la cosa più importante da fare nel vestire è allenare l’occhio, non memorizzare le regole.

Jean-Michel Basquiat. Foto: Robert Kirk/Wwd/Penske Media via Getty Images

Jean-Michel Basquiat

È possibile che lo stile possa essere ereditato, perché Jean-Michel Basquiat l’aveva nel sangue. Suo padre Gérard era sempre vestito in modo impeccabile, ma il loro rapporto era difficile, ed è forse per questo che l’artista non si è vestito con la sensibilità conservatrice del padre. Tuttavia, non riuscì a liberarsi di quel senso familiare per lo stile. Jean-Michel indossava cappotti esagerati lunghi fino al ginocchio che ondeggiavano quando camminava, abiti doppiopetto sciancrati che abbottonava inconsapevolmente nella posizione sbagliata e pullover a motivi floreali che abbinava a pantaloni tartan rossi. C’era qualcosa nei suoi abiti che sembrava perfetto ma provvisorio, proprio come i suoi graffiti.

Njideka Akunyili Crosby. Foto: Erik Carter/The New York Times/Reduxe/Eyevine

Njideka Akunyili Crosby

Gli artisti spesso si vestono in modo da distinguersi dalla borghesia legata alle regole. Al contrario, l’estetica personale di Njideka Akunyili Crosby non è controculturale, ma piuttosto chic. Indossa corti abiti neri, vestiti larghi e motivi che ricordano il suo Paese d’origine, la Nigeria. Come nei suoi dipinti, spesso ci sono strati di significato multiculturale; una volta si è presentata a un’intervista indossando la maglietta del marito con un paio di jeans e un foulard di seta avvolto intorno alla testa secondo la tradizione nigeriana. L’artista dimostra come semplici accessori possano attirare lo sguardo dell’osservatore sul volto di una persona, rendendo chi li indossa il punto focale di un outfit.

Frida Kahlo. Associated Press/Alamy Stock Photo

Frida Kahlo

Non deve sorprendere l’interesse di Frida Kahlo per la semiotica dell’abbigliamento: nel 1927 indossò un abito a tre pezzi da uomo e si acconciò i capelli per una foto di famiglia assumendo un aspetto androgino in un’epoca ancora diffidente su questi temi. Per gran parte della sua vita, predilesse capi indigeni provenienti dal Messico e dal Guatemala: un rebozo (scialle), una camicetta huipil dal taglio squadrato e voluminose gonne enaguas ornate di pizzi fatti a mano per celebrare il popolo matriarcale messicano dei Tehuantepec. Kahlo usava gli abiti per esprimere la sua identità, riaffermare la sua politica e abbellire le sue disabilità. Come la pittura sulla tela, usava gli abiti per creare un capolavoro: sé stessa.

Lucio Fontana con la sua opera «Buchi Milano 1952». © Fondazione Lucio Fontana Milano by Siae 2024

Lucio Fontana: tagli, buchi e tubini

Giacca e cravatta, capelli radi ma impomatati, baffetti curati e sorriso rassicurante: «Gaucho e banchiere», lo definì il giornalista e scrittore Mauro Pancera, che intervistò l’artista di origine argentina. «Era un perfezionista in tutto, ricordava il gallerista Luciano Pistoi, che lo aveva conosciuto bene. Tutto quello che diceva e faceva ci sembrava strano, dal modo di camminare, così sulle punte, come un ballerino, all’abbigliamento, molto alla sudamericana». Le fotografie di Ugo Mulas ne esaltano il portamento e la nonchalance con la quale, in camicia, cravatta e gilé, tagliava o bucava una tela, oppure squarciava una lamiera. Lucio Fontana, ovvero l’eleganza come modo di essere, di fare e di vestirsi: sicuramente nel defilé proposto in queste pagine merita un «cameo». Intrattenne anche un rapporto speciale con il mondo della moda: nel 1960 il gallerista Ugo Cardazzo lo volle tra gli autori di una serie di foulard d’artista. L’anno successivo disegnò tre abiti, realizzati dall’atelier di Bruna Bini e Giuseppe Telese a Milano. Erano tre tubini di diversi colori «griffati» Fontana da un taglio verticale sull’abito giallo, una fila orizzontale di buchi all’altezza della vita per quello color argento, sei tagli disposti su due file per l’abito nero.

Derek Guy, 30 dicembre 2024 | © Riproduzione riservata

L’eleganza «smodata» degli artisti | Derek Guy

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