E siamo a dieci. Tante sono le edizioni di «In Pratica», il progetto con cui prima la Collezione e oggi la Fondazione Giuseppe Iannaccone mette in dialogo un artista emergente con l’ampio corpo dei lavori che negli anni l’avvocato ha collezionato e allestito, raffinandone costantemente il display, nel suo ufficio di corso Matteotti a Milano. Dopo artisti come Davide Monaldi, Beatrice Marchi, Cleo Fariselli e Pietro Moretti, dal 9 novembre al 14 febbraio 2025 è il turno di Roberto de Pinto (Terlizzi, 1996) con la mostra «Io che ti guardo nascosto e commosso», a cura di Daniele Fenaroli. Nei lavori di de Pinto sembra esserci il sole che scalda la pelle e che a volte illumina, a volte soffoca. Sembra esserci anche una sorta di innesco erotico malcelato come nei nostri primi amori, dove, adolescenti, ci neghiamo per pudore o semplice paura e, nello stesso tempo e incoerentemente, esibiamo intimità senza interrogarci sulle conseguenze. Protagonista dei suoi lavori è una sorta di alter ego dell’artista, un personaggio solo a volte baffuto sempre ritratto, come fosse un automodello, nelle situazioni più varie: mollemente sdraiato sotto l’ombra di un fico, in posa, in piedi o raggomitolato.
Quella di de Pinto sembra una pratica certamente ambivalente nella quale l’artista cerca di svelare, o forse scoprire, qualcosa in più di sé stesso, in un continuo preliminare amoroso. Una delle sue opere recenti raffigura il suo faccione, arso dal sole, due gocce di sudore per il caldo o forse per una preoccupazione incipiente gli incorniciano il taglio degli occhi. È intento a ripulire con un paio di forbicine il lembo esterno dei suoi baffi. Sul naso compare l’ombra di un arrossamento, come se fosse in imbarazzo, forse il suo amore lo guarda e quella è la toeletta del mattino, forse vuole radersi per diventare altro, lasciare andare parte della propria identità. È un’opera che svicola sul crinale un po’ smottante e impervio, scomodo, di molte delle situazioni delle nostre vite. Le opere di de Pinto dialogano con i lavori moderni e contemporanei della Collezione Giuseppe Iannaccone, che l’artista ha scelto in continuità tematica ed emotiva con i suoi soggetti: «Il Suonatore di flauto» di Filippo de Pisis (1940), «Beasley Street» di Nicole Eisenman (2007), in cui l’archetipo del pittore guarda di nascosto verso una piazza simbolo del caleidoscopio umano, come se non trovasse nel suo studio e nella modella che ha di fronte la giusta ispirazione. Infine, «Reclining nude» di Dana Schutz (2022), in cui l’ultimo uomo rimasto su un’isola deserta è tenuto prigioniero dall’artista, prigioniera a sua volta dell’incapacità di trattenere il proprio istinto a ritrarlo.
È lo stesso artista a chiarire perché abbia scelto proprio questi lavori e in particolare «Il suonatore di flauto» di de Pisis: «La serie di lavori che presento in questa mostra, seppur con una visione del tutto personale, parla di pittura e del processo pittorico che avviene nello studio di un artista. La scelta delle opere della collezione da affiancare si è inevitabilmente riversata sui veri e propri pittori della collezione. Alcuni di questi poi sono anche tra i miei artisti preferiti in assoluto, che ho guardato (e continuo a guardare) con ammirazione (e commozione) sin da quando ero studente in Accademia. In tutte le opere selezionate, la figurazione è predominante e, in ogni lavoro con cui interagisco, la presenza umana arricchisce ed enfatizza il processo artistico, che origina dallo sguardo dell’artista verso qualcuno o qualcosa. C’è solo un nome che appartiene alla collezione di opere a cavallo tra le due guerre ed è Filippo de Pisis, pittore e figura che amo. Il suo “Suonatore di flauto” è anche particolarmente calzante nella mostra poiché è il ritratto di un modello nel suo studio milanese».
È questo dialogo tra un corpo di opere selezionato da un collezionista, una sorta di oggetto imposto, e nuovi artisti che vi entrano come agenti esterni autorizzati a costituire un secondo livello di lettura del progetto. Da una parte la mostra di de Pinto, dall’altra il suo esistere con de Pisis, Dana Schutz e Nicole Eisenman, in altre parole con l’idea di arte (e di vita) di Iannaccone.
Avvocato Iannaccone, che cosa significa per lei un progetto come «In Pratica» e che senso assume per l’arte contemporanea di oggi?
Tutto ciò che mi lega all’arte è indissolubilmente legato alla mia professione, quella dell’avvocatura. La pratica che compiono i giovani avvocati alle prime armi è atta a sviluppare la capacità di affrontare le sfide complesse del diritto che si ritroveranno a dover fronteggiare nel loro futuro. Ho maturato l’idea che gli artisti emergenti italiani siano proprio come dei giovani laureati in giurisprudenza che svolgono la pratica legale e a cui va data la possibilità di confrontarsi con i grandi maestri del passato e della contemporaneità affinché possano maturare una poetica autentica. Forte di questa consapevolezza ho deciso di aprire le porte della mia Collezione e del mio Studio legale ai giovani emergenti che possano qui svolgere la propria pratica artistica confrontandosi con i grandi artisti della mia collezione. A differenza di quanto accade all’estero, il sistema dell’arte contemporanea in Italia non riesce a fornire il supporto adeguato né a garantire la giusta visibilità ai giovani artisti emergenti. Certamente non posso io attraverso questa iniziativa correggere le strutture del sistema, ma spero quantomeno di fornire un aiuto concreto a tutti quegli artisti di talento che sanno trarre insegnamento e ispirazione dalla poetica dei loro maestri del presente e del passato.
Quale delle 10 edizioni di «In Pratica» ricorda con più piacere?
Ogni artista coinvolto in questo progetto ha rappresentato per me un incontro unico. Tra questi, non posso non citare quello nato dalla collaborazione con l’artista Adrian Paci, che ha portato nel mio studio dieci suoi allievi, tra cui Iva Lulashi. La sua partecipazione a «In pratica #5: Ex Gratia» nel 2018 ha segnato l’inizio di un percorso condiviso e di un’amicizia che si è evoluta negli anni, fino ad arrivare a una mostra personale che ho organizzato a Corniglia all’interno della chiesa del piccolo paese delle Cinque Terre. Il suo cammino di crescita è stato motivo di grande orgoglio per me e osservarla oggi quale rappresentante unica del Padiglione dell’Albania alla Biennale di Venezia è una conferma che in Italia ci siano giovani di estremo talento capaci di emergere nel panorama internazionale. Un’esperienza altrettanto appagante è stata quella con i giovani artisti italiani Aronne Pleuteri e Chiara De Luca, che hanno preso parte a «In pratica #8» e si sono distinti per la loro capacità di confrontarsi con il panorama artistico della mia raccolta degli anni Trenta. Aronne ha intrapreso un percorso di grande maturità, culminato nella partecipazione all’esposizione alla Triennale di Milano intitolata «Pittura italiana oggi». Questo risultato, insieme alla sua nomina come finalista del Premio Cairo di quest’anno, ha rappresentato una chiara dimostrazione del suo talento e della sua ricerca unica sul panorama italiano. Con grande entusiasmo guardo ora all’imminente «In pratica 10», in cui Roberto De Pinto presenta le sue opere nella mostra «Io che ti guardo nascosto e commosso». Sono sicuro che questa edizione, in cui il confronto avviene grazie alle opere di grandi artisti del nostro tempo, offre ancora una volta l’opportunità di confrontarsi con nuove letture della contemporaneità, contribuendo ad arricchire il dialogo tra la mia raccolta e una delle voci emergenti più stimolanti nel panorama contemporaneo italiano.
La Fondazione Iannaccone non è solo «In Pratica», ma porta avanti la propria missione con un variegatissimo (e ambizioso) programma.
Chiediamo al suo curatore, Daniele Fenaroli, come si snodano gli appuntamenti della Fondazione tra la fine del 2023 e il 2024 e come «In Pratica» si accorda a questi: «Nel suo primo anno di attività, la Fondazione ha progettato una serie di eventi che mirano a superare i limiti delle tradizionali attività culturali, impiegando l’arte come un vero strumento interpretativo della contemporaneità. Questo impegno si è tradotto, e si tradurrà, nel rendere l’arte accessibile anche in spazi non convenzionalmente espositivi, utilizzandola come veicolo per promuovere la diversità e indagare temi di rilevanza collettiva. Questa ambiziosa programmazione è iniziata lo scorso luglio con una performance dell’artista internazionale Thomas De Falco, il cui lavoro ha trasformato gli spazi della Fondazione in un tableau vivant in grado di far riecheggiare, tra installazioni sonore, tessuti ed elementi botanici, il conflitto e la convivenza dell’uomo, tra natura e tecnologia. Subito dopo abbiamo inaugurato nella sede della RSA Vittoria-Korian di Brescia una mostra rivolta ai soggetti fragili, ospiti della struttura, che permettesse loro di fruire di una serie di opere di arte contemporanea sul tema delle barriere culturali, economiche e geografiche. Il progetto “In Pratica” si dedica a supportare gli artisti emergenti, offrendo loro spazi espositivi per confrontarsi con celebri artisti internazionali. Un pilastro fondamentale della nostra Fondazione è il sostegno ai giovani artisti, è perciò stato un passaggio naturale adottare e potenziare il progetto di “In Pratica”, in precedenza supportato dalla Collezione Giuseppe Iannaccone. Quest’anno segna una svolta significativa, poiché la mostra di Roberto de Pinto, che esplora temi come l’identità nella società contemporanea, culmina nella pubblicazione di un catalogo d’artista edito da Allemandi. È anche il primo anno in cui questo progetto rientra tra gli eventi diffusi del Comitato Fondazioni Arte Contemporanea che, proprio come “In Pratica”, festeggia il suo decimo anniversario. È un evento unico che celebra l’importanza del nostro impegno verso l’arte emergente, specialmente in un contesto in cui il settore pubblico, in Italia, mostra carenze critiche in relazione all’arte contemporanea».