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Louisa Gagliardi: «Many Moons»

MASI Lugano, foto: Luca Meneghel

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Louisa Gagliardi: «Many Moons»

MASI Lugano, foto: Luca Meneghel

Louisa Gagliardi: un viaggio nel perturbante dell’era digitale

«Many Moons», al MASI di Lugano, è visitabile fino al 20 luglio 2025 ed è la prima grande mostra istituzionale dell’artista in Svizzera

Louisa Gagliardi non dipinge il mondo così com’è, ma come lo sentiamo, immersi nella fredda luce degli schermi e nel silenzio ovattato della solitudine contemporanea. La sua arte nasce da un paradosso affascinante: è digitale, ma palpabile; parte da uno schermo, ma diventa materia viva grazie a smalti, gel e vinile. «Many Moons», al MASI di Lugano, è visitabile fino al 20 luglio 2025 ed è la prima grande mostra istituzionale dell’artista in Svizzera. Si presenta come un sogno lucido che fonde elementi della tradizione pittorica con una visione altamente tecnologica e personale. Figure sospese, ambienti asettici e dettagli disturbanti trasportano il visitatore in un universo sospeso tra sogno e realtà, tra spiritualità e alienazione, in cui la natura invade senza romanticismo e il digitale è onnipresente, ma mai freddamente automatizzato. L’artista ci costringe a guardare, ma non ci dice cosa vedere: la sua pittura è una soglia, uno spazio di domande sospese che riflette il nostro presente frammentato. In questo contesto, la curatrice Francesca Benini racconta il percorso espositivo, le scelte alla base dell’allestimento e le sfide nel tradurre l’universo dell’artista in un’esperienza visiva e sensoriale.

Louisa Gagliardi fonde tecniche pittoriche tradizionali con processi digitali. Come avete lavorato in fase curatoriale per evidenziare questa ibridazione e il dialogo tra concreto e virtuale nella percezione del pubblico?

Abbiamo cercato di enfatizzare questa caratteristica attraverso il percorso espositivo, creando un contrasto tra la presentazione classica delle opere nello spazio aperto e l’esperienza immersiva delle stanze chiuse. L’idea era di sorprendere il visitatore, replicando quella stessa incertezza che si prova davanti ai lavori di Gagliardi, quando non si è sicuri di cosa si stia osservando. Le stanze immersive accentuano questa dimensione, facendo entrare il pubblico all’interno dell’opera stessa.  La sua tecnica permette una cura del dettaglio: lavorando al computer, può ingrandire e ridurre le immagini, stratificarle e modificarle con grande precisione. Allo stesso tempo, la difficoltà è poi la trasposizione dell’immagine dal formato schermo alle grandi dimensioni della stampa. Inoltre, quando si riconosce la componente digitale, si è portati spesso a pensare ad un processo automatizzato. In realtà, Louisa dipinge con dei pennelli utilizzando il computer, questa è la componente che crea una fusione tra digitale e tradizione.

Louisa Gagliardi: «Many Moons». MASI Lugano, foto: Luca Meneghel

Durante la visita si può avvertire un “sottile disagio” (sottolineato anche nel comunicato stampa) evocato dalle opere, come finestre che aprono su altre dimensioni.  In che modo questa ambiguità sensoriale contribuisce all’esperienza immersiva della mostra e quale strategia curatoriale è stata adottata per enfatizzarla?

Oltre alla scelta delle opere e alla loro disposizione, abbiamo lavorato anche sull’illuminazione dello spazio. Abbiamo applicato filtri alle luci per renderle più fredde, simili a quelle di un ufficio o a una luce al neon, creando un’atmosfera che richiama sia la luce lunare – come suggerisce il titolo della mostra, Many Moons – sia quella degli schermi digitali, un elemento centrale nella poetica di Gagliardi. Questo intervento, pur sottile, contribuisce a immergere il visitatore in un ambiente sospeso, che amplifica quel senso di inquietudine e straniamento che caratterizza le sue opere. Inoltre, in fase curatoriale, il dettaglio e l’ingrandimento che Louisa utilizza al computer per realizzare le sue opere si riflettono nelle scelte espositive: da un lato, una modalità più tradizionale legata alle opere; dall’altro, l’ingrandimento stesso delle opere nelle stanze immersive.

Louisa Gagliardi è riconosciuta per la sua capacità di integrare il digitale con tecniche pittoriche tradizionali, creando mondi onirici e capaci di generare profonde riflessioni. Dal suo punto di vista, come curatrice, quali elementi del percorso artistico e biografico dell’artista ritiene siano fondamentali per comprendere il potere evocativo e innovativo delle sue opere?

Gagliardi non ha una formazione accademica in ambito artistico, ma è nata professionalmente come grafica e illustratrice. Questo si riflette sia nella sua tecnica, che sfrutta il digitale in modo molto personale, sia nell’approccio alla composizione delle immagini. Inoltre, la sua famiglia ha avuto un ruolo significativo nel suo avvicinamento all’arte: il padre è architetto, la madre psicologa dell’arte, la madrina storica dell’arte. Questa esposizione precoce alla cultura visiva emerge nel suo lavoro, che è ricco di riferimenti alla storia dell’arte, non solo al surrealismo – che viene spesso citato – ma anche all’arte medievale e rinascimentale.

Il trompe-l’œil e altri stratagemmi visivi nelle sue opere spingono lo spettatore oltre la superficie pittorica. Come questi elementi contribuiscono a una lettura multilivello della mostra?

Il trompe-l’œil è un elemento chiave nella sua pratica, e nella mostra viene amplificato anche dallo spazio espositivo. Nelle stanze immersive, ad esempio, si gioca con la percezione del dentro e del fuori, mentre l’uso di superfici stampate su cui è possibile sedersi, come le poltrone, crea un ulteriore livello di illusione. È come se l’opera si estendesse oltre la tela, inglobando lo spettatore in un universo che oscilla tra realtà e finzione.

Louisa Gagliardi: «Many Moons». MASI Lugano, foto: Luca Meneghel

La mostra affronta temi come identità, trasformazione sociale e rapporto tra individuo e ambiente. Quali scelte curatoriali avete adottato per amplificare questi temi nello spazio espositivo?

Abbiamo organizzato la mostra in nuclei tematici non rigidi, che riflettono le principali aree di interesse dell’artista negli ultimi anni. Un primo gruppo di opere esplora il rapporto con la natura, ma con una prospettiva distopica, in cui la vegetazione prende il sopravvento sull’uomo. Un altro nucleo si concentra sulle ambientazioni urbane, dove la natura si insinua come un elemento di disturbo. Infine, ci sono le opere ambientate in spazi domestici, che approfondiscono il senso di alienazione e isolamento. Questa suddivisione permette di evidenziare le diverse sfaccettature del suo lavoro senza imporre una lettura univoca.

Nel contesto della complessità tecnica e concettuale delle opere di Louisa Gagliardi, quali sono state le principali sfide curatoriali nell’articolare una narrazione coerente della mostra?

Le stanze immersive sono state la sfida principale, sia dal punto di vista progettuale che realizzativo. È la prima volta che Gagliardi lavora a installazioni di questa scala, e la complessità stava nel tradurre la sua pratica – che nasce su uno schermo di computer portatile – in un’esperienza spaziale avvolgente. È stato un processo complesso, ma il risultato è stato sorprendentemente fluido, senza intoppi significativi.

Un tema ricorrente è il “perturbante”, quell’inquietudine che nasce dal contrasto tra ciò che appare familiare e ciò che si rivela oscuro. In che modo questo aspetto può stimolare una riflessione più ampia sulla realtà e la sua rappresentazione?

L’inquietudine nelle sue opere nasce da vari fattori: l’uso di colori freddi, l’illuminazione artificiale, le pose innaturali delle figure, spesso sospese in uno stato di incomunicabilità. Questo senso di straniamento riflette la nostra condizione contemporanea, segnata dall’iperconnessione digitale che, paradossalmente, può accentuare la solitudine. Le sue figure sembrano bloccate in uno spazio indefinito, sempre vicine ma mai veramente in contatto, proprio come avviene oggi nei nostri rapporti mediati dalla tecnologia.

Guardando al futuro, come pensa che «Many Moons» possa influenzare il dibattito sull’evoluzione della pittura e quale ruolo hanno le istituzioni come il MASI nel favorire il dialogo tra tradizione e innovazione tecnologica?

Il MASI ha tra le sue missioni quella di dare spazio agli artisti emergenti, non solo in termini di notorietà, ma anche di capacità di confrontarsi con ambienti espositivi complessi come il nostro. Il digitale continuerà a essere un tema centrale, non perché sia una tendenza, ma perché è parte della nostra vita quotidiana. Gli artisti contemporanei parlano di noi, del nostro tempo, e Gagliardi lo fa mettendo in discussione la nostra relazione con la tecnologia e la nostra identità nell’era digitale. Questo è il tipo di dialogo che un museo come il MASI vuole continuare a stimolare.

Beatrice Mannarino, 27 aprile 2025 | © Riproduzione riservata

Louisa Gagliardi: un viaggio nel perturbante dell’era digitale | Beatrice Mannarino

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