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L'uomo sul kayak

La scomparsa a 85 anni di Richard Nonas

Angela Vettese

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È morto l'11 maggio all'età di 85 anni Richard Nonas, scultore americano minimalista. A darne notizia è stata la P420 Art Gallery di Bologna. Partito da studi di antropologia e letteratura, Nonas aveva intrapreso una serie di ricerche dedicate ai nativi americani nell’Ontario, in Canada, in Messico. Indirizzò poi la sua ricerca verso la scultura modulare. Ripubblichiamo un articolo di Angela Vettese scritto per Vernissage nel 2003.

Richard Nonas ama andare in kayak. Ha imparato dagli Esquimesi, quando ancora era un giovane antropologo: visse nel Canada del Nord per tre anni. Il kayak non è una vera barca, è un pezzo di corpo aggiunto che consente di galleggiare seduti. Per infilarsi in quella calza stretta può essere necessaria anche mezz'ora di contorsioni. Ma poi si diventa un pesce più ancora che un pescatore, si assume, come una sirena, l'unica forma adatta a sfidare l'acqua gelata tra i ghiacci. Il culto della forma essenziale: questo è ciò che è rimasto nell'artista dello studioso di un tempo.

E anche saper riconoscere che certe necessità interiori sembrano irragionevoli dall'esterno, ma impossibili da fuggire dall'interno: come l'indiano che incontrò nel Messico, felice perché quando arrivava la tribù rivale degli Apache si sapeva trasformare in un cactus, ma triste perché non gli riusciva di trasformarsi in un cactus vivo. Solo in un cactus morto. L'unica via per superare le differenze, dice, è proprio questa, individuata appena divenne un artista senza altra formazione alle spalle che i suoi studi sociali: non occorre cercare di capire ogni luogo, ma bisogna comprendere che ogni luogo ha un suo spirito; è necessario, oltre che inevitabile, andare in cerca di un linguaggio comune e che sia almeno per una sua parte comprensibi le a tutti; proprio per questo occorre tentare di mettere d'accordo il generale con il particolare, la struttura primaria e lo specifico: un gioco da equilibristi.

La visita al suo studio di New York è un'esperienza percettiva unica, un grande bianco pieno di oggetti primari fatti di legno o pietra, di sculture che giacciono da decenni e che insieme compongono una scultura in progress. Io l'ho osservato scegliere pietre a Como, per la sua mostra alla Fondazione Antonio Ratti, in un magazzino comunale di arredi stradali dismessi. Guardava con desiderio e circospezione i bordi in pietra rimossi dai marciapiedi, modellati dai passi, dagli urti e dalla loro stessa rimozione. Ne ha voluto recuperare un certo numero per fare una doppia linea, un pezzo sui pavimenti a palladiana al primo piano della villa e un altro pezzo nel prato d'accesso; specularità e differenza, come a voler conciliare il dentro e il fuori, l'eleganza e la strada, un'architettura precisa con l'indistinto architettonico di una città.

Ma senza entrare nei dettagli personali; fu quest'obbligo ingrato, dice Nonas, a staccarlo dall'antropologia: la necessità di narrare dell'altro e anche dei suoi fatti intimi come se fosse un animale da documentario e non un essere umano dotato di dignità. Abbandonati i libri e i viaggi ha cercato di parlare di sé, degli altri e del convivere.

Lo ha fatto con un vocabolario essenziale e con il gusto di incrociare cento volte quattro assi di legno finché trovino un loro senso compiuto. Non è un minimalista. Glielo vieta proprio il suo afflato umanista e la ricerca costante di emozioni che funzionino come insight, come intuizioni fulminanti sia per lui sia per lo spettatore: un atteggiamento lontano dalle sequenze di mensole, cubi o linee degli esponenti più noti di quel gruppo.

L'unico nucleo con cui ha condiviso qualcosa è stato quello dell'Anarchitettura, battezzata così da Gordon Matta Clark in omaggio all'anarchia e all'abitare come ricerca sull'essere civili. Erano gli anni in cui Nonas viveva con Laurie Anderson e la spingeva ai suoi primi esperimenti visivi. Erano i giorni in cui partecipò alla prima mostra del PS1 a New York, allora spazio alternativo senza un soldo e oggi braccio del MoMA in cui il dissenso diventa istituzione.

Era il momento in cui New York cambiava e si spaccava in una città del consumo e in una della protesta. Quando Nonas ha iniziato, erano gli anni in cui lo star System dell'arte non esisteva ancora o quantomeno se ne poteva pre scindere: ogni tanto arrivava un collezionista come Panza di Biumo e gli comprava dei pezzi. Lui ha continuato volontariamente a prescindere dalle regole e a coltivare il suo studio come fosse il suo campo, come un orto dove si allevano al contempo sia il pensare sia il fare.

Poco spazio per l'antropologia: o la si fa seriamente, o si abbandona e non ci si pensa più. L'arte non è sociologia d'accatto, ma un modo di sondare l'ignoto o di imparare a trasformarsi in un cactus vivo. Chi vuole va a visitarlo, sperando che il piccolo uomo bruno non abbia preferito, quel giorno, infilarsi dentro a un kayak.
 

Angela Vettese, 12 maggio 2021 | © Riproduzione riservata

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