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Lucio Pozzi
Leggi i suoi articoliNel Mass Moca meglio Izhar Patkin del simil-ciarpame di Kiefer e dei francobollini di Sol Lewitt
A mezz’ora di auto da New York, a North Adams, c’è l’immenso Mass Moca (Massachusetts Museum of Contemporary Art). La Hall Art Foundation ha costruito un padiglione esterno apposta per esporci tre opere di Anselm Kiefer. Una consiste di grandi frammenti di un tetto ondulato di cemento davanti a una frase del poeta Saint-John Perse, l’altra ha 20 letti, ciascuno dedicato a una delle donne famose della Rivoluzione francese, sui quali sono posate coperte di piombo e in fondo una larga foto dell’artista in cammino in una desolata campagna. La terza è un’intera casa costruita di traverso dentro la sala. All’interno sono appesi ai muri 30 quadri di spiagge deserte con sopra modellini di sommergibili impantanati. Le incrostature, le scabrosità simil-ciarpame, mi confermano la vocazione di falso poverismo della pittura di Kiefer: tutta facciata e trucchi.
Tre piani del museo sono dedicati al progetto di produrre per i prossimi 25 anni tutti i murali disegnati da Sol Lewitt. Ne viene una affollata collezione di grandissime supergrafiche, come francobolloni allineati nell’album, davvero ricche di idee ma messe così vicino una all’altra da annullarne il valore ambientale.
La palma dell’intensità, del sentimento, del simbolo e dell’autentica mescolanza di pittura, fotografia, oggetti e teatro immobile va a Izhar Patkin che, nato in Israele nel 1957, vive a New York. Ha costruito una serie di stanzoni di legno alti 4 metri foderati da tende ondulanti di tulle sulle quali sono stampate immagini fotografiche in bianco e nero o a colori. Ci sono voluti dieci anni per sviluppare la stampante per far questo. A prescindere dalla scelta simbolica che va dai Kennedy alle spiagge di Gaza e Israele alle rotaie di treni che vanno verso destini crudeli o magici dell’esistenza, l’effetto è di fantasmica memoria. Questo genialissimo artista anni fa si è ritirato dalla scena per pensare. Realizza pitture su tappeti e sculture fra il kitsch e l’elegante che fa dialogare con le poesie dell’amico Kashmiri/americano Agha Shahid Ali, morto a 52 anni nel 2001.
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