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Domenico Russo
Leggi i suoi articoliDurante la residenza, nel corso del mese di luglio, presso lo spazio polifunzionale Telegraph di Olomouc, in Repubblica Ceca, Giacomo Modolo ha proseguito la sua riflessione pittorica, iniziata lo scorso anno, ai margini della memoria e dell’esperienza, tra ciò che resta e ciò che inizia a disfarsi. Vicentino, nato nel 1988, Modolo costruisce visioni dove l’evocazione del personale s’unisce al disvelamento collettivo, mentre l’astrattismo – sua ‘croce e delizia’ – e il figurativo si conciliano nei sogni a occhi aperti dell’artista.
Ogni colore depositato sulla superficie della tela è la conseguenza di un’urgenza emotiva che si infrange contro la modalità percettiva del nostro presente iperstimolato, bruciato dal riverbero eccessivo delle immagini che ci raggiungono – immagini filtrate, già esauste, sogni affaticati dal tempo. Un tempo ripartito in micro-porzioni, dove l’esperienza si riduce a una serie di presenti scollegati dal tempo stesso. Da questa destrutturazione, prendono forma i colori sulle tele: come coriandoli o cenere si sparpagliano nell’aria, in tutto il nostro ambiente, poiché è l'intero milieu che si sfalda continuamente, dissipando la sua energia.
Le architetture, gli ambienti naturali e quelli ideali che descrivono gli spazi degli ultimi lavori di Modolo – pensiamo ad esempio agli scorci del cielo urbano osservato dal basso attraverso palazzi in notturna o nelle prime ore del mattino – sono il segno di una tensione dell’occhio e del pensiero, rivolti in questo caso a un cielo elettrico, artificiale o, peggio ancora, illuminato da una deflagrazione lontana. Le guerre non sono lontane e il loro sinistro riverbero illumina i nostri occhi ciechi, rendendoci sempre più nevrotici in questi anni laceranti. Le sagome dei palazzi scuri e immobili di Modolo creano una sorta di compressione, alludendo alla visione di ciò che accade nel momento in cui si cela la fonte del male; costringono a un movimento obbligato, insieme all’artista, in un solitario viaggio notturno attraverso il paesaggio cittadino, in cerca di un’alba incerta, che sembra quasi non poter mai arrivare.

This is no time for heroes, 2025, acrilico e pastello ad olio su tela.
Si chiama This is no time for heroes, questa serie, e si innesta nel solco della mostra Lights of Sinners, presentata lo scorso anno alla Crag Gallery di Torino, di cui costituisce la prosecuzione, forse più radicale e marchiata da un taglio onirico e visionario allo stesso tempo, sospeso, asciugato. In This is no time for heroes la memoria personale si fonde con un paesaggio sentimentale movimentato da tocchi magici dove le stratificazioni del passato recente si proiettano sul presente, insinuandosi nelle pieghe del quotidiano.
In questi lavori, l’esperienza – che ha luogo tra una vegetazione intensa e nervosa, nei margini sfibrati di una città, o seguendo l’eco distorto di una serata trascorsa per locali– si sedimenta in forma pittorica, per poi sciogliersi nuovamente in un campo aperto a qualunque perturbazione sperimentale di pittura interna, in grado di mutare, facendo staccare i soggetti dal bisogno di uno spazio simbolico, per diventare essi stessi simboli, proiezioni ideali.
Sotto le mani dell'artista, gli spazi divengono contenitori dilatati da cui si innalzano colori, caldi bagliori esalati per riscaldare e suscitare sentimenti ed emozioni. Ogni elemento sulla tela – ogni frammento cromatico, ogni tratto – è un’unità apparentemente compatta, ma pronta a cedere, a lasciarsi distruggere dentro un insieme palpitante, in continuo riflusso. Si ha la sensazione a tratti che la pittura, come da Modolo è intesa, derivi da un effetto patogeno: non è mai propriamente compiuta, nel senso che è un linguaggio aperto costituito da parole che si spezzano e ruzzolano, ma che unisce mentre frana.
In questo modo – e in generale – è difficile che ci sia un confine tra figura e sfondo, tra presenza e dissoluzione, tra soggetto e intimità. Le composizioni si sfaldano sotto la pressione di una materia sulla quale la linea scorre non con il fine di delimitare, bensì con quello di aprire varchi e connettere. Il disegno, struttura primaria in questa fase, emerge non per contraddire la pittura, bensì per sostenerla, in uno stato di costante vibrazione. La vibrazione, a sua volta, è il frutto di un anelito a cui continuare a dare fiato; e il segno è una specie di ricalco dell’esistente, che ne esalta il respiro e attraverso cui le immagini, tratte da archivi visivi eterogenei, trovano un’altra collocazione.

This is no time for heroes, 2025, acrilico, matita e pastello ad olio su tela 50x35
Su queste strutture schematiche, l’esuberanza pittorica di Modolo trabocca di fumi acidi, di bagliori fluo, di frammenti atmosferici, a suggerire una realtà sentita, vissuta dentro, immaginata e profonda, perciò ancora più vera. Ogni minimo tratto pieno di vita rimanda al movimento ininterrotto di tutto ciò che è intorno a noi, che vive e procrea ininterrottamente sé stesso.
Ciò affiora, in fondo, da una geografia magica della realtà. Una realtà obliqua, nascosta, persistente, fatta di umori, ombre, presagi, ricordi, resti. Non c'è nulla di nostalgico in questa ricerca, semmai si avverte una malinconia attiva, consapevole, che scava la facciata delle cose per svelarne le tensioni interne. Così, la pelle dell’artista e la pelle del mondo trovano coincidenze nella pelle della pittura.
I dipinti di Modolo di Olomouc attraversano un paesaggio interiore stratificato e ipersensibile, che si rispecchia nel mondo e nella sua realtà politica e sociale, restituendoci una percezione acuta, forse più compassionevole, del presente. È come se l'artista non possa fare a meno di assistere alla prossimità dei rapporti, e vi annusasse la radiosa intensità dello sfaldarsi della soggettività, riportando sulla superficie del quadro gli ultimi bagliori.
Nel suo attraversare il territorio di Olomouc – i suoi scorci, i suoi silenzi, le sue albe incerte – l’artista ha raccolto visioni marginali e le ha trasfuse in immagini dense, aperte, vulnerabili. Così, questa residenza diventa un punto cruciale: non tanto una tappa, quanto una soglia da cui guardare, ancora una volta, oltre la fine di una storia, e annunziare la poesia della sua essenza.