Fino al 5 settembre Cecilia Vicuña è protagonista di una grande mostra personale al Guggenheim di New York. Un riconoscimento importante per la poetessa, artista, regista e attivista cilena nata a Santiago nel 1948. «Spin Spin Triangulene» presenta la produzione artistica di Vicuña dalla fine degli anni Sessanta a oggi e alcune nuove opere. Il titolo è un’invenzione poetica che sottolinea il legame tra la scienza e le conoscenze indigene a cui la sua arte fa riferimento.
Vicuña esordisce come pittrice astratta negli anni Sessanta ma ben presto nel 1969 si accorge che in questo modo avrebbe perpetrato la tradizione dei «santi» coloni, semplicemente interiorizzata in una mano indigena, l’artista decide di riportare sulla tela in modo minuzioso le immagini nella sua testa. Nascono alcune delle opere più emblematiche della sua arte, come il ritratto della madre scelto come immagine guida della Biennale di Venezia in corso, che da poco l’ha insignita del Leone d’Oro alla carriera per la precisione, l’umiltà e l’ostinazione con cui ha anticipato la presa di coscienza sulle tematiche ambientali e il femminismo.
La sua fascinazione per le tradizioni indigene e le epistemologie non occidentali si è intrecciata fin da subito con un ruolo attivo in supporto alle lotte di liberazione dei popoli di tutto il mondo. Nel 1974, un anno dopo essersi autoesiliata a Londra in seguito al golpe di Augusto Pinochet, fonda Artists for Democracy (Afd) insieme a David Medalla, John Dugger e Guy Brett.
Trasferitasi a New York nel 1980 Cecilia Vicuña riceve ora, dalla città dove ha trascorso la maggior parte della sua vita, un importante riconoscimento. Per la prima volta raccontata in una grande mostra personale, la sua ricerca multidisciplinare ha fatto della memoria, del linguaggio, della scienza, della spiritualità e della conoscenza indigena il fulcro da cui far sorgere una pratica difficile da confinare nelle categorie.
In mostra, tra tessuti, film e opere su carta, ci saranno anche le Palabrarmas, o «armi di parole», indovinelli e poesie nella concezione di Cecilia Vicuña emblematiche del linguaggio come entità vivente dai risvolti politici, la nuova installazione «Quipu del exterminio / Extermination Quipu» (2022), costruita sul sistema narrativo/numerico andino dei nodi e la performance «Quipu», una cerimonia di guarigione collettiva che invita il pubblico a rendersi partecipe del cambiamento poetico e politico del nostro mondo.
Come dichiara l’artista, «il mio lavoro si sofferma sul non ancora, sul potenziale futuro del non formato, dove suono, tessitura e linguaggio interagiscono per creare nuovi significati».