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Miriam Zerbi
Leggi i suoi articoliL’ambiente raccolto del cinquecentesco Oratorio di San Ludovico, annesso all’ospizio per poveri, in fondo alla stretta calle dei Vecchi, è il luogo più appropriato ad accogliere una mostra dell’artista coreana Jinny Yu, presentata dalla Galleria Nuova Icona e dai curatori Elisa Genna, Vittorio Urbani e Ola Wlusek e intitolata «Don’t they ever stop migrating?».
Sino al 22 novembre un grande telo dipinto con inchiostro scuro a segni fitti corre lungo le pareti, lasciando intravedere l’architettura dello spazio che ricopre, e, con stormi neri, evoca lo spettro di ingenti migrazioni. Prendendo a metafora il film «Gli Uccelli» di Hitchcock, l’opera vive in un paesaggio sonoro dove concitate voci di donna e cupi silenzi reagiscono a quanto sentito come minaccia di invasione. È sotto gli occhi di tutti l’odissea di moltitudini in fuga e di famigerati tragitti della speranza che si trasformano in rotte dell’orrore.
L’artista, che ha sperimentato personalmente la condizione di migrante, esplora i sentimenti di ostilità della popolazione «ospitante», che innalza un muro sottile quanto tenace da contrapporre alla paura che inevitabilmente provoca un flusso incontrollabile di individui che, come un’inondazione, crea scompiglio e panico.