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Philip Guston, «Cerveteri», 1971

© The Estate of Philip Guston, cortesia Hauser & Wirth

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Philip Guston, «Cerveteri», 1971

© The Estate of Philip Guston, cortesia Hauser & Wirth

Quando Roma fu meta di artisti oltreoceano attratti dagli Etruschi

Da un estratto della relazione «Etrusco-Americans. Artisti americani e l’arte etrusca nella Roma del dopoguerra: collezionismo, estetica, influenze» di Peter Benson Miller

Peter Benson Miller

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Il 20 febbraio scorso presso la Fondazione Luigi Rovati, in collaborazione con il Mart di Rovereto, si è tenuta una giornata di studi per approfondire la relazione tra l’arte etrusca e quella del Novecento, riprendendo il tema della mostra «Etruschi del Novecento» in corso fino al 16 marzo al Mart di Rovereto, e che, dal 2 aprile (fino al 3 agosto), sarà allestita, in un’edizione rinnovata e complementare, alla Fondazione Luigi Rovati a Milano. Il convegno, curato da Lucia Mannini, Anna Mazzanti, Giulio Paolucci e Alessandra Tiddia, ha visto la partecipazione di molti studiosi. Pubblichiamo un estratto della relazione «Etrusco-Americans. Artisti americani e l’arte etrusca nella Roma del dopoguerra: collezionismo, estetica, influenze» di Peter Benson Miller, storico dell’arte e curatore, già direttore artistico dell’American Academy in Rome, autore del volume American Artists in Postwar Rome: Art and Cultural Exchange, appena uscito con Bloomsbury Visual Arts.

Gli echi dell’antichità greca e romana e i loro resti materiali nell’opera di Cy Twombly sono stati recentemente al centro di numerose mostre. Alcuni studiosi hanno proposto anche i manufatti etruschi quali potenziali modelli di riferimento, paragonando, per esempio, la forma arrotondata dalla quale germogliano i fiori di «Thermopylae» ai tumuli etruschi e agli elmi dei guerrieri. Tuttavia, l’ingaggio di Twombly con l’arte etrusca rimane, nonostante il costante interesse manifestato dall’artista, un tema ancora relativamente poco esplorato. Robert Rauschenberg, compagno di viaggio di Twombly in Italia e Marocco nel 1952-53, ricorda che «[Cy] scoprì un mercato delle pulci... [dove] i contadini portavano cose etrusche e occasionalmente un busto di marmo. Impazzì». In una fotografia dello stesso periodo, Twombly appare accanto a una ciotola con coperchio e manici, decorata con motivi geometrici. Si tratta probabilmente di una variazione della tipologia italo-geometrica del VII secolo a.C., quasi certamente acquistata al mercatino di piazza Fontanella Borghese. Quando Twombly torna a Roma, nel 1957, intraprende spedizioni archeologiche amatoriali a Veio e in altri siti etruschi con la sua futura moglie, Tatiana Franchetti, e Milton Gendel, corrispondente a Roma per «Art News». Nel suo testo introduttivo al volume del catalogo ragionato dei disegni di Twombly dal 1964 al 1969, Nicola Del Roscio descrive le escursioni di Twombly nel paesaggio etrusco dove «trovavamo pezzi di ceramica dipinta o corniole con figure incise». Oltre al fatto che Gendel «vagasse in cerca di prede tra le tombe etrusche», il critico riferisce su «Art News» della controversia provocata dalla prima fase della reinstallazione delle gallerie etrusche a Villa Giulia nel 1955. Per un articolo dalle sontuose illustrazioni, a firma di Robert Graves, intitolato The Etruscans e pubblicato su «Art News Annual» nel 1956, lo stesso Gendel ottiene fotografie di sculture, affreschi e lavori in metallo dai suoi colleghi di Olivetti. Dimostrando grande erudizione, egli aiuta personalmente la redazione di «Art News» a identificare molti degli oggetti e a verificare le informazioni nelle didascalie.

Twombly e Gendel fanno parte di una fitta rete di studiosi e artisti statunitensi a Roma che studiano e collezionano attivamente l’arte etrusca. All’American Academy in Rome, fucina di Etruscologia negli anni ’50 e ’60, Gisela Richter, curatrice di antichità al Metropolitan Museum of Art, tiene una lezione sulle «Relazioni reciproche tra i popoli dell’Italia antica»; Emmeline Richardson, autrice di The Etruscans: their art and civilization (Chicago, 1964), esplora le origini etrusche della prima scultura romana. Mario Del Chiaro e Richard D. De Puma sviluppano i loro ormai celebrati studi sulla ceramica etrusca. Dimitri Hadzi, scultore greco-americano che lavorava in uno studio all’Accademia, incontra qui Henry Moore, la cui assimilazione di modelli etruschi per le sue figure sdraiate è ben documentata. Hadzi realizzerà in seguito una serie di «Elmi» in bronzo; «Elmo II», esposto alla Galleria Schneider di Roma nel 1960, sarà nel Padiglione americano alla Biennale di Venezia del 1962.

Cerveteri, Necropoli della Banditaccia, zona del Recinto: cippo a forma di cilindro, 1936. Collezione Fototeca Unione. Foto: Ernest Nash

Dopo un anno di lavoro all’American Academy in Rome nel 1959, l’artista sino-americano James Leong restaura il piano nobile di Palazzo Pio, adiacente a Campo de’ Fiori, dove affittava atelier ad altri artisti americani, tra cui Twombly e Ulfert Wilke. Gli stessi Leong e Wilke, ispirati dalla collezione etrusca di Eugene Berman collocata nel suo appartamento romano di Palazzo Doria Pamphilj, iniziano presto ad acquistare anche loro oggetti etruschi (esempi tratti dalla collezione Berman di antichità sono in mostra in «Passeggiate immaginarie: la collezione rivelata e l’opera riscoperta di Eugene Berman, 1899-1972» al Forte Sangallo di Civita Castellana fino al 30 giugno). Berman ammette che lui e Wilke erano «entrambi incorreggibili dipendenti dal vizio del collezionismo». Nel suo diario, Wilke tiene conti giornalieri e abbozza i suoi acquisti da Porta Portese e da vari commercianti di antichità, annotando riflessioni su come il suo lavoro stesse diventando più «etrusco», forse eccessivamente. Queste coordinate etrusche vengono evidentemente ampiamente discusse. L’artista Carl Holty riferisce dei «quadri etruschi» di Wilke: «Fa parte della provincia dell’arte astratta moderna odierna quando l’artista entra in contatto con l’amato ma perduto passato per fare una sorta di riassunto essenziale di quel passato in termini del nostro tempo». I motivi in un dipinto di un’altra collezionista di ceramiche etrusche Helani (Eleanor Hilowitz), «Antichità», sono identificati come «figure etrusche». In altre parole, questi artisti americani intravedono apparentemente nelle forme elementari dell’arte etrusca, in particolare nei contorni semplificati e disadorni delle ceramiche villanoviane ed etrusche, le linee guida istruttive per l’astrazione moderna.

Dopo una visita allo studio di Mirko, Wilke inizia una serie di sculture in bronzo, chiamandole «Glyphs» (glifi), alcune delle quali sono tavolette con caratteri arcaici scolpiti in rilievo. Altre assomigliano a urne cinerarie a forma di capanna villanoviana. Quando queste opere vengono esposte a New York nel 1961, una recensione cita «una fusione, oltre che “Etruscan”, un acquerello splendidamente ingrigito [...] motivato in parte da forme etrusche rifuse nella visione decorosa di Wilke». Nel 1960, quest’ultimo è in contatto anche con Philip Guston, già borsista dell’American Academy in Rome. Questo potrebbe spiegare, almeno in parte, perché Guston, avido lettore di D.H. Lawrence, rivisiti motivi etruschi nella sua serie «Roma», realizzata un decennio dopo, durante il suo terzo e ultimo soggiorno a Roma. Musa McKim, moglie di Guston, annota nel suo diario le visite a Cerveteri e a Tarquinia all’inizio del febbraio 1971, dove vedono «casse di vasi e sarcofagi di terracotta da Tuscania, il centro del recente terremoto», trasferiti per essere conservati in sicurezza. Traspare inoltre una certa familiarità con gli esempi della collezione etrusca di Villa Giulia. Come Wilke, anche Guston è attratto dalle iscrizioni antiche; in un’opera della serie «Roma» dipinge caratteri rossi indecifrabili, alcuni dei quali si avvicinavano a pittogrammi, su una tavoletta rosa. In un’altra, intitolata «Cerveteri», rende il sito come un altopiano di blocchi di muratura ciclopici. Sparse sulla sommità di questo tumulo, le forme che nei dipinti precedenti suggerivano assi di legno o parti di telai si trasformano ora nelle forme semplificate di lapidi maschili e femminili sulle tombe etrusche. Sembrano animate dalla «meraviglia ingenua» e dall’«innocenza arcaica» che Lawrence, in Etruscan Places, individua nei dipinti delle tombe etrusche. Quando Guston suggerisce che cerca di dipingere allo stesso modo, come il «primo pittore», il critico Harold Rosenberg osserva che si tratta «del primitivismo di un pittore colto». 

L’interesse nel rendere moderna l’arte etrusca, manifestato da questo gruppo interconnesso di artisti, rappresenta un «tesoro» per altri artisti. Ad esempio, Paul Thek, amico di Twombly e Mario Schifano, dopo il suo primo soggiorno a Roma realizza «The Tomb», replica spiritosa di un’antica camera funeraria. L’interno contiene un’effigie a grandezza naturale dell’artista disposta sul pavimento circondata da oggetti votivi. Nel creare la struttura da un’armatura di legno ricoperta di tela tesa, Thek evoca, più delle tombe stesse, le loro ricostruzioni in mostra, tra cui l’ipogeo etrusco dell’architetto Jean-Charles Moreau per la rassegna «Art et Civilisation Etrusques» al Louvre nel 1955. In altre opere, le celebri «Meat Pieces», paragonate agli oggetti votivi, Thek richiama le teche di plexiglas nel riallestimento di Villa Giulia che avevano provocato molte polemiche. In questo modo, Thek porta avanti la tradizione di realizzare sculture «spiritose e funeree», come il critico Frank O’Hara definisce la scultura «etrusca» di Twombly degli anni ’50. Questa panoramica offre un punto di partenza per approfondire l’influenza dell’arte e della cultura etrusca sugli artisti americani del dopoguerra.

Peter Benson Miller, 14 marzo 2025 | © Riproduzione riservata

Quando Roma fu meta di artisti oltreoceano attratti dagli Etruschi | Peter Benson Miller

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